“Un grande poeta è sempre anche un grande filosofo!” dice Emanuele Severino.
Non so se Fabrizio De André si può definire un grande poeta, credo di no; ma certo nelle sue canzoni c’è della poesia . E se c’è della poesia credo si possa dire che c’è anche della filosofia: insomma, c’è dietro un’idea, una considerazione non banale. Personalmente, nella poesia “Non nominare il nome di Dio invano” ci leggo il problema del “perdono”
“Non intendo cantare la gloria
né invocare la grazia o il perdono…
“Ma inumano è pur sempre l’amore
di chi rantola senza rancore
perdonando con l’ultima voce…
“accettando ad estremo saluto
la preghiera e l’insulto e lo sputo… (cioè capendo sia l’amore che l’odio verso di lui)
“Non nominare il nome di Dio invano” cioè non tirare in ballo dio o la fede religiosa quando basta la ragione dell’uomo a spiegare le cose.
Eppure ci sono delle circostanze in cui dio (il sacro) l’abbiamo dentro di noi: lo evochiamo, lo invochiamo, lo preghiamo …
Intendo il nome di dio come riferimento al divino, al sovrumano, all’ultra-razionale – Laicamente possiamo chiamarlo filantropia, sim-patia, compassione, amore…
Il gesto del perdono (gratuito) è irrazionale. La ragione chiede giustizia (non dico occhio per occhio, dente per dente…ma certo: “hai fatto il male e il male ricevi: dal mio odio e disprezzo, dalla società, dallo Stato…). Per andare oltre la (semplice) giustizia “occorre nominare il nome di dio”: il venir mano della ragione è l’impazzimento nel sentimento.
Dice Umberto Eco nel “Cimitero di Praga”: “E’ l’amore che è una situazione anomala. L’odio è la vera passione primordiale. Per questo Cristo è stato ucciso: parlava contro natura”.
(ricordo di aver sentito questa espressione “il perdono è disumano” dalla voce di un padre camaldolese, con grande scandalo dei presenti. Argomentava facendo riferimento ad un episodio. Un padre che gli confidava “non riesco a perdonare” e si sentiva cristianamente in colpa per questo. Aveva perso il giovane unico figlio in seguito ad un semplice intervento chirurgico eseguito malamente e drammaticamente da un chirurgo sotto l’effetto della droga. E padre Paolo si sentì, in confessione, identificandosi col dolore di quel padre, di dire “Anch’io non lo perdono!”)
Eppure il perdono ha una sua forza: dicono che riesca a metterci in pace con noi stessi.
E’ il “credo quia absurdum” dei mistici
E’ “l’abditum animae” di Hekkart
E’ la scommessa di Pascal
E’ “Abramo che vibra il pugnale contro il figlio” secondo Kierkegaard
E’ la “compassione” di Schopenhauer
E’ insomma il “nominare, evocare dio” ( il sacro, l’irrazionale, il livello della follia…) per andare – esistenzialmente – oltre la razionalità.
Data: 12.06.2013