Data: 12.06.2013

Autore: Giuseppe Maridati

Oggetto: La società da liberare

Piero Carelli, di cui ho condiviso in altri contesti molte affermazioni ed impostazioni, ha lanciato lo slogan della “nuova rivoluzione culturale e nello stesso tempo etica”: liberarci della superprotezioni, dei sussidi pubblici, della inamovibilità del posto di lavoro (nella pubblica amministrazione, ma anche nell’impiego privato), ecc., per liberare le energie individuali.

Scrive che dobbiamo darci “una scossa morale”. “Non è liberando l’individuo (senza mai rinunciare, tuttavia, alla solidarietà) che potremo esaltare ancora di più la dignità umana?”

La solidarietà sembra costituire, nelle parole di Carelli, un limite esterno ai comportamenti individuali.

Non mi è chiaro il concetto di “dignità” umana. Dal contesto sembra connesso a comportamenti che esprimano la orgogliosa iniziativa autonoma dell’individuo. Una versione aggiornata della “bellezza eroica” che costruiva l’ideale dell’uomo greco. Anche il kamikaze, che si imbottisce di tritolo e va a farsi esplodere nelle file degli aspiranti all’assunzione nell’esercito irakeno, ha uno scatto di orgoglio, ed è convinto di farlo per solidarietà con la sua nazione occupata. Analoghi orgoglio e convinzione animavano anche gli eroi del risorgimento, in altra occasione criticati da Carelli.

Per altro aspetto il discorso che commento sottende la fiducia, che era anche di Adam Smith, che il comportamento “razionale” dell’individuo produca automaticamente (per legge “naturale”) il risultato più favorevole anche per la società.

E’ una visione ottimistica dell’individuo e pessimistica verso la società ( o lo stato, che non è esattamente la stessa cosa) di stampo prettamente liberista, che anima anche le scelte politiche (pardon: tecniche) dell’attuale presidente del Consiglio: per ridurre il debito “sovrano” non si interviene sugli oneri finanziari, che ne costituiscono la maggior parte, ma si riducono l’efficienza e la fruibilità dei servizi pubblici, che già da alcuni anni stanno diventando un “colabrodo” per la mancata sostituzione di chi va in pensione o si dimette e per il mancato rinnovamento degli strumenti, ecc.. Monti “perseguitava” i servizi pubblici già quando era commissario all’Unione Europea, in nome della concorrenza e del mercato.

Carelli deduce dalle distorsioni o incongruenze nei rapporti sociali che ci vuole meno società, meno stato. La consecuzione logica non mi è chiara. Getta il bambino insieme all’acqua sporca.

Anche prima degli illuministi gli uomini sapevano che lo sviluppo storico non è completamente razionale o lineare. Anche i disagi attuali appartengono ad una storia individuale e collettiva che ha commesso alcuni “scivoloni”. Ne vogliamo trarre conseguenze epocali o ideologiche?

L’abbondanza (a dir poco) di liquidità monetaria che agita il mondo (almeno quello occidentale) non è solo costituita dai debiti “sovrani” ma anche effetto dei comportamenti privati (pensiamo ai prestiti subprime e alla creazione sempre più fantasiosa di finanza derivata).

Gli errori di un clan, o in un clan, di 10.000 anni fà erano più facilmente correggibili degli errori degli stati, o negli stati, odierni, per giunta interconnessi in un mondo ormai globalizzato. Ma correzioni, almeno parziali, sono possibili (e sono possibili anche nuovi errori).

Da sempre l’uomo è un animale sociale, e si qualifica per l’interazione dei suoi caratteri individuali con i “caratteri” della società in cui vive.

Alla natura non interessa l’individuo, ma la specie (la società), come ben sapeva già Shopenauher. Siamo animali (quindi: siamo parte della natura, anche se spesso preferiamo dimenticarcene) sociali. La “solidarietà”, cioè l’attenzione all’interesse collettivo, non è un limite etico estrinseco al comportamento umano, ma un suo fine intrinseco. Se ne fossimo tutti consapevoli sparirebbero i fenomeni di parassitismo sociale lamentati da Carelli.

La solidarietà si manifesta anche affidando alla collettività (allo stato, storicamente determinato e non assolutizzabile) il compito di distribuire la ricchezza (di favorire cioè l’eguaglianza sostanziale, oltre che formale, come dispone il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione) e di stabilire quali sono i servizi pubblici che vanno garantiti a tutti, magari con un “concorso spese” (è meno lesivo della dignità di chi lo riceve un servizio pubblico che l’aiuto delle dame della San Vincenzo), lasciando il resto al libero mercato.

E’ necessario riformulare l’etica kantiana: 1) ognuno si comporti avendo presente che la società (l’interesse collettivo) è un fine e non un mezzo; 2) ognuno si comporti avendo presente che l’uomo (l’individuo) è un fine e non un mezzo.

Liberare la società, quindi. Da cosa? Dagli errori, collettivi e individuali.

Giuseppe Maridati

P.S.: non ditemi che sono pragmatico e socialista, lo so da me.

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