Data: 13.06.2013

Autore: Gabriele Ornaghi

Oggetto: Fantasmi relativisti

28/II/2012
Gabriele Ornaghi



In un recente articolo, apparso sul Corriere della Sera di giovedì 23 febbraio , Claudio Magris mette in luce come rinunciare alla ricerca di un fondamento per la filosofia, trasforma la stessa in un optional morale. L’articolo di Magris ha lo scopo di denunciare il falso relativismo che oggi domina: c’è un relativismo – scrive infatti Magris – che oggi detta legge come un dogma pacchiano, rinunciando a priori a cercare (…) una qualsiasi verità; rinunciando ad affermare qualsiasi valore, ponendo tutte le scelte morali sullo stesso piano, come in un menu in cui ognuno sceglie secondo i gusti e le reazioni delle sue papille gustative. In questa sua caccia del “fantasma relativista”, Magris mette in luce come ciò non venga operato solo da autori Cristiani, primo fra tutti Benedetto XVI, ma anche da pensatori “esterni a qualsiasi chiesa”: Tito Perlini, Todorov, Massimo Teodori e Dario Anselmi, per citarne alcuni.

Ciò che a mio avviso emerge d’importante da questo articolo è il pericolo che il relativismo, quello denunciato da Magris, porta con sé. Pur condividendo il pensiero di Joseph Ratzingher, devo concordare con Magris che esistono “due tipi” di relativismi: uno assoluto e negativo, e uno che potremmo definire positivo e che ci porta ad aprirci all’altro. Il relativismo assoluto è quello che rischia di affascinare di più l’uomo contemporaneo. Esso si mostra infatti, come la soluzione ideale a qualsiasi scontro di idee: potendo ammettere tutto e il contrario di tutto, “a” e “non-a”, nel medesimo tempo, evitiamo di “litigare tra di noi”, di creare motivi di divisioni. Ma è davvero così? Il relativismo assoluto, è davvero la soluzione “rosea” a tutti i nostri problemi? Oppure è una comoda e facile scappatoia?

Anche il professor Carelli, dal suo punto di vista di relativista, nel suo intervento on-line ci mette in guardia dal relativismo usato tout court. Va sottolineato anche il fatto che tentativi di analisi relativistica della morale sono già stati fatti nella storia. Henning Ritter nei suoi saggi intitolati Sventura lontana2 , mostra come il tentativo operato da Diderot di analizzare la morale tramite casi messi sotto la luce del relativismo, abbia condotto l’uomo (nel caso ipotetico) all’immoralità .

Il relativismo che Magris denuncia è l’assenza della ricerca di verità. È “l’epoca del buio” che più di tutte dobbiamo temere. Ma cosa centra con il nostro tema della fondazione della morale extra teologica? Il relativismo, a mio avviso, nella formula presentata da Magris nel suo articolo rischia di diventare il terreno sul quale fondare la nuova morale. Se effettivamente affermiamo che fuori dal discorso teologico-metafisico non possiamo fondare la nostra morale, il rischio che corriamo non è, a mio avviso, quello di divenire automi morali ma piuttosto quello di relativizzare tutto e quindi di concedere tutto. Non nego che la morale teologica, una morale basata su di uno stretto rapporto con Dio che è Padre e Creatore, abbia valore, ma la mia preoccupazione è per chi non crede o crede in un’entità diversa. Come possiamo vivere in una società che è, sì un piccolo villaggio globale, ma al cui interno devono necessariamente convivere culture, credi, filosofie diverse? Ponendo come regola di vita il relativismo? O fondando razionalmente regole morali (che magari esistono già nel nostro mos maiorum) condivisibili da tutti?



1 - Se il relativismo teme la verità. di C. Magris

2 - Henning Ritter, Sventura lontana, Adelphi 2007

3 - Ibiden, pag. 42

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