Data: 18.06.2013

Autore: Patrizia de Capua

Oggetto: W l’Australia, paese dell’ornitorinco

Nel 1932, nella sua ultima opera Les deux sources de la morale et de la réligion, Bergson notava che l’uomo, avendo visto crescere smisuratamente il corpo a seguito dei progressi delle scienze in generale e della meccanica in particolare, aveva bisogno di un supplemento d’anima.

Oggi, almeno al dire dei domenicani riuniti in convegno a Bologna nell’ottobre scorso, pare che l’Europa abbia bisogno di un ulteriore supplemento d’anima.

Ma da chi dovremmo aspettarci questo supplemento d’anima?

Dall’ Università, creazione tipicamente europea, voce che può indicare la rotta, secondo Stefano Zamagni, dell’Università di Bologna. Dal Liceo, potrei dire io che insegno in un Liceo, creazione aristotelica. Dalla Scuola Media, potrebbe dire chi insegna nel presunto “anello debole “ della catena, che invece è spesso luogo di sperimentazioni suggestive e feconde, apripista per le più sonnolente scuole superiori. Dalla Scuola Elementare, dirà chi vi lavora, adducendo la buona fama di un ordine di scuola in cui è possibile, volendo, porre basi egregie per la formazione dei futuri cittadini. Dalla Scuola materna, azzarda allora chi conosce la tradizione di scuola dell’infanzia di Cremona/Brescia, concorrenziale rispetto alle più note esperienze romano-montessoriane. E poi, si sa, “datemi un bambino fino a sei anni e sarà mio per tutta la vita”, come insegnano i gesuiti (e probabilmente anche i domenicani).

Dalla caritas di istituzioni dedite all’assistenza sanitaria e ospedaliera, alla rieducazione, all’istruzione popolare: insomma al servizio, che come tutti sanno è “per vocazione” prevalentemente femminile… (secondo Edoardo Bressan dell’Università di Macerata)

Senza commento.

Dal dialogo interculturale fra diverse ideologie e religioni favorito dall’ “ontologia formale”, impegnata nella formalizzazione dei linguaggi ordinari, tanto rilevante per l’informatica (secondo Gianfranco Basti, della Pontificia Università Lateranense di Roma).

E a questo rispondo con la benefica scossa dell’intervento di G. Giarrusso: costruiamo un’ontologia formale? ma se fra poco rischiamo di morire tutti di fame!

Non credo affatto che abbiamo bisogno di un supplemento d’anima. Credo piuttosto che abbiamo bisogno di un supplemento di ragione, intesa come intelligenza: capacità di prevedere le conseguenze delle nostre azioni e di assumerci la responsabilità morale delle nostre scelte. Si pensi innanzitutto alle scelte ambientali, destinate, anche senza apocalittici catastrofismi, a decidere del nostro futuro come specie.

Di fronte al disagio del presente, disagio di civiltà opportunamente richiamato da Zamagni, viene invocato un matrimonio fra Occidente e Oriente. Matrimonio che sa di déjà vu e déjà vécu, come nota Tiziano Guerini, a partire da Platone; anzi, dai presocratici, dai gimnosofisti, da Lao Tse, sottolinea l’amico Marco Ermentini.

In questo matrimonio l’Occidente porterebbe in dote i valori della persona cristiana, la fraternità, la dignità della coscienza individuale: concordo con Luca Lunardi che identifica questi come valori irrinunciabili (a suo parere, se ho ben capito, sufficienti), e aggiungerei la libertà politica coniugata con la ricerca scientifica di cui parla Geymonat, citando Dewey e de Finetti.

E va bene. Ma che cosa porterebbe l’Oriente? Due concetti ripetutamente collocati uno accanto all’altro come un’endiadi, quasi fossero più che sinonimi: una cosa sola. Misticismo e poesia. Ma come? Misticismo non significa ineffabilità? Non allude, con la sua bella etimologia (müo = sto chiuso, degli occhi, dei fiori e della bocca, quindi muta nel mistero) all’incapacità e all’impossibilità di esprimere, di dire a parole quanto trabocca dall’anima? Viceversa, poesia non è parola musicalmente articolata in versi, capace di tradurre in forma esteticamente pregevole quei sentimenti che (forse) tutti gli uomini provano?

Non ci siamo, dice Piero Carelli, le categorie sono troppo generiche. L’Oriente è forse incamminato verso una crescita economica e tecnologico-scientifica che non solo ripete i sentieri dell’Occidente, ma si affaccia sulla scena del mondo come una minaccia, piuttosto che come una promessa, se non va di pari passo con la tutela dei diritti civili.

Ad esempio, ricordo di avere appreso con stupore misto a incredulità da un’illustre docente esperta di studi danteschi che i Giapponesi sono in difficoltà quando si trovano a dover tradurre la parola libertà: non ne posseggono un concetto comparabile con quello occidentale.

E la soggettività? Sarà pur vero che in Occidente può degenerare in volontà di potenza, ma in Oriente evapora in flatus vocis.

Sono dis-orientata: Occidente e Oriente dovrebbero allearsi contro il Sud del mondo?

Forse è cambiata la geografia…per fortuna Carelli mi conferma che NON è cambiata, che l’Oriente rimane l’Oriente e il Sud continua ad essere (anche) quel luogo utopico di cui si parlava al Caffè filosofico quando si diceva, forse con qualche retorica, che “l’émotion est nègre comme la raison est hellène”, e si favoleggiava di filosofia attorno al fuoco…nel lontano 2004. Il Sud come povertà economica e ricchezza di pensiero e di emozioni, contro un Nord ricco di denaro, teoreticamente inaridito.

Oppure sconvolgiamole tutte, queste categorie: l’Australia è Oriente o Occidente? A seconda da dove la voglio buscar. È Nord, in quanto ricca, o è Sud, in quanto, per l’appunto, australe?

W l’Australia, paese dell’ornitorinco, animale che sconvolge le categorie!

Chiudo con una nota seria: attenzione allo scenario che ci viene prospettato, quello di una teologia politica (Pierangelo Sequeri). Trovo questa espressione inquietante, per non dire terrificante. Una teologia politica assomiglia troppo a una politica teologica. Che cosa si prospetta per noi, soprattutto per noi donne?

Contro questo fantasma, vorrei appellarmi alla filosofia non come fondamento, ma se mai come sfondamento, come decostruzione, nel significato tanto bene illustrato da Pier Aldo Rovatti (La filosofia può curare?), quando spiega la filosofia come “saper fare, non un sapere categoriale e astratto”, oppure come “un ritorno al conoscere (e quindi anche allo stesso sapere scientifico) attraverso la pratica e l’esercizio”. Una filosofia di sapienza/saggezza davvero universale e metageografica.

Anche se in proposito non ho alcun mea culpa da recitare né alcun giovanile incantamento da ritrattare, con Guccini dico addio “alle magie di moda delle religioni orientali che da noi nascondono soltanto vuoti di pensiero”.

Patrizia de Capua
10 novembre 2009

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