Data: 22.06.2013

Autore: Secondo Giacobbi

Oggetto: Riflettendo

Riflettendo sull'efficace e appassionata relazione di Giorgio Trogu, arricchita dagli interventi degli ascoltatori, propongo a mia volta, a freddo, qualche spunto.

Il discorso di Giorgio è stato chiaro: il suo non è irrazionalismo che nega la razionalità; il relatore ha piuttosto affermato l'erroneità di ridurre il processo conoscitivo al razionalismo tecnico-scientifico quale si è imposto in Occidente a partire dal 1600. La ragione non è una funzione "in sé" della mente, ma è un modo di organizzarsi della mente nel suo rapporto con la realtà ( esterna e interna ). La ragione non è dunque necessariamente solo razionalistica e tantomeno lo è nei termini della ratio tecnico-scientifica. Se così fosse il pensiero filosofico anteriore alla rivoluzione scientifica avrebbe validità solo nella misura in cui può essere validato in termini razionalistici. Sarebbe un'assurdità sostenerlo! Sarebbe come dire che Platone, che interroga il mito per dar voce alla ricerca del Vero, fa un uso esclusivamente narrativo del mito oppure lo usa come mero rivestimento metaforico. Ma il mito non è una metafora , esso è una fonte autonoma di conoscenza, diversa dalla ricerca empirica, dalla deduzione logica e dalla prova sperimentale. E così il simbolo, che è esso stesso un processo attivo di conoscenza, e non un precipitato di conoscenza consensualmente acquisita (segno). La bandiera è un segno che tutti riconoscono, l'eucarestia è un simbolo di cui nessuno, neppure papa Ratzinger, può dire di possedere interamente il senso, in quanto questo non è univoco, chiuso, definitivo.Potremmo dire che il segno è monoteistico e il simbolo è politeistico. D'altra parte ogni simbolo rinvia, in ultima analisi, all'area del sacro, e questo, alla dimensione della Divinità; la quale non può che essere Uno e Infinità, e quindi intrinsecamente inconoscibile (come ci ha ricordato Giorgio Trogu).

E' questo l'unico modo,a mio avviso, per risolvere la contraddizione dei monoteismi,che da un lato affermano l'unicità di Dio e dall'altro, facendo coincidere tale unicità con la propria rappresentazione della divinità, si espongono al rischio del dogmatismo e del fondamentalismo. Mi ha sempre fatto sorridere il fatto che formichine lillipuziane, che vivono su di una minuscola briciola dell'universo sconfinato, litigano tra di loro, nella pretesa di ciascuna di esse di sapere "chi" e "che cosa" è Dio unico e vero.

Quindi nessun monoteismo della ragione, tanto meno della ragione scientista, ma neanche un irrazionalismo che neghi la ragione, pur nei suoi limiti.Se posso fare riferimento al mio sapere locale, la psicoanalisi, vorrei sottolineare che la pratica analitica cerca, a suo modo, con i suoi limiti e le sue contraddizioni, di muoversi dialetticamente tra le due giustapposte polarità del conoscere.Da un lato il pensare cosciente,logico, diurno; dall'altro lato il pensare inconscio, onirico, notturno. L'uno ha bisogno dell'altro affinchè l'uomo si possa conoscere nella sua doppiezza e nella sua contraddittorietà.Tra le due forme di pensiero è senz'altro più importante, in termini di gnosi ( quanto meno perché più esteso, più antico, più legato al corpo e agli aspetti profondi ed arcaici della mente) il pensiero inconscio, archetipico ( direbbe Jung). E tuttavia senza il pensare del giorno cioè cosciente e logico-razionale,l'altra forma di pensiero sarebbe irraggiungibile. Provate a pensare a cosa accade in una seduta analitica: l'analista e il paziente riflettono insieme,pazientemente, senza fretta,ad esempio proprio su di un sogno.E tuttavia entrambi sono desti e coscienti; se fossero addormentati, non potrebbero riflettere insieme! E ciò nonostante il loro modo di comunicare e riflettere, per quanto desto e cosciente, è fortemente caratterizzato in senso "onirico" ( e cioè si basa su associazioni libere, immagini, ricordi, emozioni, fantasie), come ci ha insegnato Freud.

Quanto alla TV e a certi usi del computer, Giorgio Trogu, che mi ha interpellato al riguardo nella sua relazione, ha perfettamente ragione. Il loro danno è incontestabile e molto superiore ai vantaggi e ai benefici che essi offrono o sembrano offrire.Ciò appare evidente a che sappia porsi in una prospettiva sapienziale e spirituale di riflessione sul mondo; ma è stato accertato anche da ricerche scientifiche e da numerosi dati sperimentali, sui quali non posso soffermarmi qui.Concludo su questo punto con un'ultima considerazione: è una grande illusione degli uomini pensare che gli oggetti tecnologico siano, di per sé, neutrali, e che essi possano essere "buoni" o "cattivi" a seconda di come vengono usati. In realtà gli oggetti non sono inerti; essi sono il precipitato vivo di vivi processi di produzione sociale e di riproduzione ideologica; essi, quindi condizionano e riorganizzano i comportamenti umani e gli atteggiamenti mentali, e spesso lo fanno in un modo distruttivo e patologizzante.Potremmo pensarci su in una futura serata filosofica ("filosofia e oggetti tecnologici" ? Ciao a tutti.

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