Data: 22.06.2013

Autore: Marco Ermentini

Oggetto: ESTETICA COMICA?

Grazie a Anna Maramotti l’altra sera al Caffè Filosofico ho capito che in estetica fare sul serio vuol dire scherzare.

Le teorie estetiche, confrontate con la loro applicazione, molte volte mi hanno fatto scoppiare dal ridere. Una cosa ben strana per discipline e sistemi che si nutrono della serietà. Così spesso dove Hume e Kant, Croce e Gadamer mi abbandonavano, mi sono venuti in aiuto i fratelli Marx e Stalio e Olio, Benigni e Totò.

Serietà e comicità si uniscono anche nella interpretazione dell’opera d’arte. E’ più importante una sana risata che troppa serietà filologica ? Del resto la prova del nove di chi fa sul serio è che chi fa sul serio, sa di essere comico. Forse tra i commenti critici dell’estetica contemporanea deve essere annoverato anche il riso.

Dell’estetica bisognerebbe anche ridere in modo barocco e rotondo. Così facevano anche i più lucidi pensatori del passato.

Anche Aristotele nella Grande Etica (IA 30) sostiene l’importanza della facezia, che è una virtù. E’ il giusto mezzo fra la buffoneria e la rozzezza. L’uomo faceto lo è anche in due sensi: è infatti spiritoso sia chi sa motteggiare spiritosamente, sia chi sa accettare di essere motteggiato.

Una buona opera d’arte la si dovrebbe riconoscere anche dalle risate, non dalla quantità dei consensi.

Sarà forse proprio il riso uno dei metri di giudizio dell’estetica? In questo caso la storia delle teorie dell’arte andrebbe riscritta come storia del comico. Del resto anche il nostro filosofo nostrano Andrea Bortolon, come Bergson, ci dicono che il comico si rivolge all’intelligenza pura e che non esiste al di fuori di ciò che è propriamente umano.

Chi è l’uomo di spirito? Quali sono stati nel passato gli uomini di spirito? La lista è lunga: da Democrito a Seneca, da Luciano di Samosata a Montaigne, da Rabelais a Erasmo …

Il comico può smascherare molte cose anche nell’estetica. Quando si capisce che qualcosa di “meccanico”, di burattinesco si sovrappone, si incrosta su ciò che è vivo, spesso volentieri ci fa ridere. Così come Don Chisciotte che combatte i mulini perché vuole modellare le cose su un idea fissa che ha e non modella le idee sulle cose; ciò ci fa ridere.

Il voler applicare regole ferree e metodi preconfezionati in tutti i casi, in tutte le situazioni, ci fa venire in mente cosa dice il medico Diafoirus nel “Malato immaginario”: “E’ meglio morire secondo le regole che scamparla contro le regole”.

Erasmo consiglia l’ironia per trattare temi seriosi in modo che il lettore, a meno che non sia un perfetto babbeo, riesca a trarne più giovamento che dalle cupe riflessioni di certi illustri pensatori.

Passando infine al campo del restauro dell’ opera d’arte, penso che ironia e paradosso siano anche i principali strumenti del restauro “timido” inventato dal nostro filosofo Andrea Bortolon. Questa concezione si fa gioco dell’abbrutimento attuale, della seriosità che non è serietà.

L’uomo di spirito è cosciente della propria autonomia mentale e dei propri limiti e liberamente e spassionatamente osserva intorno a se il mondo sdivinizzandolo.

Certo, cara Anna, forse è tutto uno scherzo, forse l’estetica comica e il restauro timido sono solo giochi, ma a volte con l’ironia si può afferrare anche qualche frammento di verità.

Timidi saluti.





Marco Ermentini

Presidente Shy Architectural Association

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