Data: 22.06.2013

Autore: Patrizia de Capua

Oggetto: Quale qualità?

Risposta alla difesa della filosofia della prassi, pronunciata da Tiziano Guerini, il quale suppone che l’affievolirsi del confronto scritto sia determinato dall’implicito dissenso di chi giudica inopportuna la scelta del Caffè filosofico di occuparsene.

L’ultimo incontro del Caffè filosofico (13 febbraio 2006) è stato dedicato a “Filosofia della qualità nella produzione industriale”. Ammesso e non concesso che la parola filosofia significhi qui qualcosa di più e di diverso da ciò che si intende comunemente nelle espressioni “prendere la vita con filosofia”, o “la mia filosofia di vita”, ossia un modo di vedere le cose che trascende la banalità dei gesti quotidiani, ed è per lo più improntato a serenità e coerenza – ma anche, in un certo contesto e paradossalmente, a superficialità -, ciò che mi ha dissuaso dal partecipare alla serata è, lo confesso, la qualità.


Che la produzione industriale debba essere di qualità, è fin troppo ovvio.

Ma da una decina d’anni la qualità è entrata nella scuola, e non so se questo sia bene.

Mi spiego: non che qualcuno possa avere dei dubbi sull’opportunità di avere un sistema scolastico efficiente ed efficace, o in altri termini una scuola di qualità. Ma è il significato che si dà alla qualità a farne spesso un’arma spuntata, per lo meno nella scuola. E’ quello che vorrei dimostrare.

Fin dal 1996 il preside Giuseppe Strada, attento alle innovazioni per convinzione e manager per natura, pubblicava un testo dal titolo significativo Ma la scuola è un’azienda? Con forte anticipo sulle altre, la sua scuola avviava il processo della Qualità Totale, con il supporto della società leader del settore in Italia, e auspicava l’avvento di criteri oggettivi di valutazione nell’ambito delicato della didattica. Da quel momento, fu tutto un fiorire di Carte dei servizi, Progetti educativi di istituto, Piani dell’offerta formativa, e via dicendo.

Si tratta però di capire se la logica della qualità abbia contribuito a migliorare l’istruzione e l’educazione dei ragazzi, e perché no, il lavoro degli insegnanti.

Proverò ad accogliere l’invito di Guerini a prendere in considerazione la filosofia della prassi, e dato che, com’egli afferma, “si fa filosofia della prassi quando – all’interno di un determinato ambito di conoscenza – si cerca di individuare ‘l’essenza, il concetto, la definizione’ che caratterizzi - tutte e per sempre - le cose che a quel determinato ambito appartengono (e vi appartengono proprio perché rispondono a quel ‘concetto’)”, mi porrò la domanda socratica: “che cos’è un bravo insegnante?”. In via di prima approssimazione, dirò che un bravo insegnante è colui che fa il proprio dovere di insegnare. Troppo generico? Va bene: allora dirò che è chi dimostra competenza sia nelle discipline che deve insegnare, sia nella comunicazione di tali discipline, favorendo una crescita degli alunni sul piano dell’istruzione e dell’educazione. Ancora troppo generico? Preciserò allora il concetto, aggiungendo progressivamente che un bravo insegnante deve possedere quella che Gardner chiama “intelligenza interpersonale”, deve saper motivare gli alunni ad apprendere, valorizzare le differenti personalità e i molteplici stili cognitivi, deve essere in grado di programmare il lavoro, valutare, aggiornarsi e imparare a sua volta. Darò invece per scontato e sottinteso il fatto che rispetti la normativa, legga e osservi le circolari, compili correttamente il registro, arrivi puntuale alle lezioni ed esegua una serie di operazioni tese a documentare il lavoro che svolge. Insomma: le caratteristiche che dovrebbe possedere un bravo insegnante dovrebbero farne un esperto sì di tecniche didattiche, ma anche una persona sensibile a tutto ciò che fa parte del mondo dei giovani, con molta voglia di ascoltarli e di parlare con loro.

Ebbene: la logica della qualità, sminuzzando il lavoro dell’insegnante in protocolli meticolosi e fastidiosamente analitici, insiste invece piuttosto sulle procedure che tendono a rendere fungibili sia le operazioni che le persone.

Che cosa si intende infatti per logica della qualità nella scuola? Fondamentalmente, il rispetto delle procedure, il monitoraggio delle attività e la valutazione dell’efficacia dei risultati.

Tutto ciò, attraverso l’individuazione di alcuni indicatori osservabili e misurabili.

Per chiarire ciò che sto dicendo, supponiamo che io debba presentare un progetto di “Educazione alla legalità”. Se l’antica pedagogia protonovecentesca, trovandosi a illustrare gli obiettivi formativi di una simile attività, dichiarerebbe di voler sviluppare sensibilità verso il tema della giustizia, rispetto per le leggi e coscienza critica contro il sistema perverso delle collusioni mafia-politica, la logica della qualità elencherebbe alcuni comportamenti desiderabili che si intendono attivare negli studenti, del tipo:

non ruba

non guida il motorino senza casco

non pretende denaro dai compagni in cambio di favori

non compra un motorino rubato…

o, meglio, da quando si è capito che è meglio indicare comportamenti rinforzabili, anziché proibire comportamenti da estinguere:

rispetta le strutture e l’arredo scolastico

si comporta correttamente con compagni, docenti e personale non docente

si veste convenientemente in funzione dell’ambiente scolastico

è disponibile con ogni tipo di compagno “diverso”

accetta le valutazioni espresse su di lui dall’insegnante, senza forargli i copertoni…

Ciascuno di tali indicatori andrebbe poi ulteriormente scomposto in comportamenti osservabili e misurabili, fino a che ci si chiederà se si stia parlando di esseri umani o di automi.

Un altro esempio: supponiamo che in una scuola sia attivo un servizio di assistenza psicologica per gli studenti. Come ne verrà valutata l’efficacia secondo la cosiddetta qualità? Si chiederà agli studenti che si sono rivolti allo psicologo se hanno avuto ascolto, se per lo meno sono riusciti a chiarirsi le idee, parlando dei propri problemi? No: si conterà il numero degli studenti che in un anno si sono rivolti allo psicologo. E poi? come si interpreterà questo numero, che di per sé, come tutti i numeri, non esprime nulla? Si dirà forse che se il numero è basso, e dunque è bassa la percentuale rispetto al totale degli iscritti, significa che magari gli studenti di quella scuola vivono serenamente la propria vita? No: si dirà che il servizio non funziona e va potenziato, perché è tanto più “di qualità” quanto maggiore è il numero dei ragazzi che in un anno ne usufruiscono.

Sorge allora il dubbio che nella scuola il sistema qualità altro non sia che un sistema di quantità camuffata (forse neppure troppo camuffata). Tale sistema si fonda sulla pretesa che la scuola sia un’azienda come le altre, o poco diversa dalle altre, in cui tutto è calcolato sul bilancio costi – benefici, l’educazione è degradata a merce di scarso valore, gli studenti sono considerati alla stregua di prodotti da esibire, se ben confezionati, da scartare, se difettosi (proprio così: in uno dei tanti corsi di aggiornamento sulla qualità, ho sentito definire uno studente bocciato come un prodotto non conforme…). La teoria di riferimento è il Comportamentismo psicologico, con il suo corteo di applicazioni didattiche dell’istruzione programmata, del Mastery learning e di ogni sorta di meccanicismo pedagogico.

Ma non basta: ciò che più preoccupa è che applicando senza eccezioni la qualità, come fanno non gli insegnanti, ma alcuni zelanti ispettori incaricati di verificare che la scuola, una volta ottenuto l’ambito bollino blu, continui a rispettare le procedure, si finisce col perdere di vista la sostanza (=l’istruzione e l’educazione dei ragazzi), a favore di una forma ipostatizzata. Così un insegnante potrebbe apparire un bravo insegnante anche se non ha insegnato niente, a condizione che dichiari per iscritto di avere fatto tutto ciò che avrebbe dovuto fare: ad esempio se ha steso una bella programmazione (bella perché ordinata, al computer, conforme al modello prescritto), se ha compilato il registro in ogni sua parte, se ha un “congruo” numero di valutazioni, dove per congruo si intende un numero fisso stabilito nelle riunioni per materie e poi ratificato dai documenti della scuola, non un numero adeguato alle necessità di una classe specifica o, meglio ancora, ad ogni singolo alunno.

Ma tutti sanno che un bravo insegnante non è, non può essere questo. Un bravo insegnante – per fortuna i miei insegnanti erano di questo tipo – è quello che sa inventarsi di giorno in giorno strumenti sempre nuovi per affrontare e possibilmente risolvere problemi sempre diversi. Uno che possiede una buona dose di intuito, di fantasia pedagogica, di passione, e soprattutto possiede quella dote che i greci chiamavano metis, e che come molti termini greci ha sia un significato positivo (prudenza, saggezza), che negativo (scaltrezza, macchinazione). Dipende da come viene usata: è una questione di filosofia della prassi.

Conclusione: il bravo insegnante secondo la logica della qualità è un perfetto burattino capace di eseguire mosse sempre uguali, che probabilmente pretenderà lo stesso dagli studenti, un omologato omologatore.

Ho esagerato? Quanno ce vò, ce vò.

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