Data: 22.06.2013

Autore: Franco Gallo

Oggetto: Intervento

Non so se intervengo a sproposito, ma vista la riflessione di T. Guerini mi permetto un contributo sul tema della qualità e del suo rapporto con la “metafisica”.

La metodologia produttiva della qualità è caratterizzata dal ciclo Plan-Do-Check-Act, dalla ricerca del miglioramento continuo, dall'enfasi sull'efficacia e sulla customer's satisfaction e dalla azione sistematica di analisi interne.

Per chi conosca la struttura della norma ISO 9001:2000 e collegate (comprese le certificazioni ambientali ed etiche), è chiaro che alcuni aspetti applicativi (proceduralizzazione dell'attività o del servizio, lettura del sistema come interrelazione di processi, cicli interni di accounting) sono tratti di un'ingegneria gestionale che metabolizza le regole metodologiche standard della ricerca scientifica, da Cartesio (elenchi, strutture di controllo, regola dell'induzione o enumerazione) a Bacone (mai pensato a controllare la corrispondenza tra le diagrammazioni di Ishikawa e le instantiae/tabulae baconiane), da Mill a Pareto etc.; ma è anche chiaro che l'imprenditorialità classica del capitalismo non ragiona in termini di quality assurance (modello gestionale tipico del capitalismo trustificato, per dirla con Schumpeter, del capitalismo dotato di una struttura burocratico-organizzativa specifica), bensì nei termini che abbiamo anche di recente potuto constatare nell'epoca delle start-up rampanti delle tecnologia informatiche e dei servizi multimediali, cioè attraverso una mentalità parallela ma distinta dalla scienza. È la mentalità dell'innovazione rischiosa, della congettura non suffragata da un preliminare percorso di ricerca, dell'inserimento avventato e temerario della propria offerta in scenari troppo caotici per poter essere analizzati.

La qualità indica piuttosto, dal punto di vista storico, la fine del capitalismo creativo e rampante (non che sia da rimpiangere!) e l'avvento della riflessione della stessa imprenditoria capitalistica sulla riduzione delle esternalità (svantaggi prodotti indirettamente ai consumatori dalle forme della produzione, come l'inquinamento), sulla relazione tra le norme di legge cogenti (che ogni norma di qualità presuppone) e l'intrapresa, sulla capacità del sistema produttivo e distributivo di creare un feedback dell'utente che non sia soltanto di gradimento ma riesca anche a coinvolgere tutti i dententori di interessi (stakeholders).

Questo modello partecipativo rischia di essere oligarchico se il feedback degli stakeholders è formale o disinteressato; deve e può essere democratico e venire giocato a tutti i livelli, dall'interazione dei consumatori con i produttori e i fornitori di servizi alla determinazione politica delle regole, per permettere al “capitalismo” di implementare fino in fondo la “tecnologia”.

La qualità non è allora altro che un passo verso il concetto della sostenibilità dell'interazione tecnologica tra specie e ambiente. La sua logica deve estendersi alla progettazione politica (di ciò è già testimonianza Agenda 21) e il concetto ad esso sotteso della responsabilità di progettazione e risultato deve diventare cultura professionale di tutti.

Ma per realizzare tutto questo occorre dare davvero, anche nel nostro paese, una chance alla democrazia. Il concetto di responsabilizzazione diffusa, di coinvolgimento attivo del lavoratore, di riconoscimento motivato delle strategie inadeguate e di loro ridiscussione pubblica con le maestranze, etc., sono tutti elementi caratteristici del sistema qualità, ma solo limitatamente presenti nella storia del lavoro nel nostro paese. La democraticizzazione del lavoro implicita nella logica della qualità tende a trasformare ogni operatore in un soggetto contemporaneamente esecutore e controllore, esecutore e critico, e implica enfasi sulla formazione, trasparenza, documentazione, misurabilità, valutazione in base ai risultati

Concludendo mi sembra essenziale diffondere la filosofia della qualità anche nell'ottica di una promozione della coscienza civica e della cultura dell'efficientazione. Non perché si voglia indulgere al toyotismo come ideologia, né perché attraverso questa via obliqua si vogliano obliterare le ragioni del conflitto sul lavoro che sono sempre vitali e non possono venire mai soffocate da alcun sistema gestionale, bensì perché proprio mediante la partecipazione attiva dei professionisti e degli operatori si possono documentare, a tutti i livelli, quei punti morti e quelle incertezze dei processi di utilizzo, trasformazione e distribuzione che sono sempre collegati anche alle ingiustizie nella distribuzione delle responsabilità, del reddito e delle risorse.

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