Data: 22.06.2013

Autore: Tiziano Guerini

Oggetto: L’OCCIDENTE E IL MONDO

Riprendo e articolo meglio la considerazione rapidamente svolta durante il dibattito seguito alla relazione di don Giorgio Zucchelli nel Caffè Filosofico del 14 novembre 2005.

C’è una frase nel libro “Senza radici” che a mio parere è particolarmente significativa delle ragioni e degli obiettivi che lo scritto si prefigge. La frase dice press’a poco così: “ Proprio nel momento in cui la civiltà europea conquista il mondo, va in frantumi la sua radice cultural-valoriale”.

L’implicito di questa affermazione sta nella positività di tale conquista; l’esplicito stà nel legare la “forza” dell’azione di conquista alla diffusione dei valori metafisico-cristiani (perché in questo viene individuata la radice) che la giustificherebbero.

La riflessione che intendo svolgere sta nella domanda “se l’azione di conquista non sia invece resa possibile proprio dall’abbandono dei valori tradizionali dell’Occidente.”

Ogni conquista ha bisogno di mostrarsi “aperta” a ciò che appunto vuol conquistare: l’impero romano inventò il Panteon per questo. Qual è il nuovo panteon dell’occidente? Con quali forme allettanti si presenta al resto del mondo l’occidente?

Credo sia fuori dubbio che la dimensione cultural-valoriale con cui l’occidente sta ormai avviandosi, nonostante ogni resistenza, alla conquista progressiva del mondo, sia data dal binomio inscindibile scienza-tecnica. E’ questo binomio valoriale che sta mandando in frantumi la radice culturale dell’occidente? Oppure – ed è questo che qui si sostiene – scienza e tecnica non sono che l’inverarsi e l’attualizzarsi sul piano della correttezza logica delle premesse metafisico-cristiane proprie del pensiero occidentale?

Se il cuore del pensiero dell’occidente sta nella affermazione del “divenire” di tutte le cose (la nascita e la morte delle cose), allora non ci sono che due conseguenze (sviluppate dall’ occidente in successione storica): dapprima la giustificazione del “divenire” (che posto da solo realizzerebbe la contraddizione) attraverso la posizione di un “indiveniente” (l’Assoluto, il Demiurgo, Dio creatore dal nulla) ; e poi – come passaggio logico oltre la nuova posizione di contraddizione realizzata da un “indiveniente” destinato in realtà a mostrarsi non causa ma effetto del “relativo”- l’affermazione necessaria del relativismo nella solitudine di un “divenire “ posto come confine invalicabile della conoscenza e della azione dell’uomo. Tale confine invalicabile – fonte di incertezza (esistenziale) ma anche potentemente efficace, è rappresentato dal binomio scienza-tecnica. Non quindi abbandono delle radici culturali metafisico-cristiane, ma loro coerente attualizzazione. L’occidente sta allora accingendosi alla conquista del mondo attraverso la traduzione potente delle proprie radici metafisiche ( e cristiane, nella accezione mondana e politica di questo termine) nella loro trasfigurata potenza operativa scientifico-tecnologica.

Si pone qui, però, la domanda che E. Severino va ponendo ormai da qualche decennio all’attenzione della cultura contemporanea: “il divenire” non ha altra definizione possibile che quella che ha dominato e domina, sia pure in forme e con strumenti diversi, il pensiero occidentale: essere cioè la manifestazione del nascere e del morire delle cose? Oppure…

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