Data: 23.06.2013

Autore: Patrizia de Capua

Oggetto: Nonsolobibliografia

La relazione di Silvano Allasia mi è parsa profonda e seriamente documentata. L’onestà intellettuale e l’acume ermeneutico del relatore credo siano risultati evidenti a tutti. Così pure l’ampiezza delle letture e la capacità di renderne conto in modo non banale, ma con sguardo sempre critico, benché rispettoso delle differenti posizioni.

In particolare ho trovato assai interessante la proposta, da parte di qualche generoso spirito cristiano, di comunità religiose di tipo monastico che offrano un esempio di vita a credenti e non credenti: una sorta di utopismo analogo a quello dei socialisti di fine Settecento. Come dire: perché non smettiamo di predicare e proviamo a mettere in pratica i nostri principi? Così, forse, qualcuno ci darà credito e magari finirà col condividere le nostre convinzioni. All’opposto, e simmetricamente, efficace ed opportuno è risultato, a mio modo di vedere, il riferimento alla tradizione dell’ateismo virtuoso, da Bayle a… già, a chi? chi oggi può considerarsi erede di quella tradizione? Chi oserebbe paragonare la propria condotta di vita a quella di Spinoza? Forse Habermas, con la sua etica del dialogo? Confesso che lo scambio reciproco fra ragione e fede, volonterose nel soccorrersi a vicenda, per evitare l’una il tecnicismo e l’altra il fanatismo, evoca nella mia mente l’immagine di un lezioso minuetto, durante il quale i ballerini si rivolgono sguardi amorevoli e sdolcinati, pronti a sferrarsi alle spalle, allo svanire dell’ultima nota, un colpo a tradimento.

Vorrei segnalare un itinerario alternativo, magari meno edificante, ma non privo di fascino, orientato, da un lato, in senso logico-scientifico, e dall’altro in senso storico-morale.

Il primo è quello della matematica di un autore decisamente brillante: Piergiorgio Odifreddi, impegnato da anni in un’ infaticabile lotta contro ogni forma di superstizione, categoria secondo lui molto ampia, tanto da inglobare, in qualche modo, anche la religione. In particolare, dopo Le menzogne di Ulisse, piuttosto teso a smascherare le fallacie della logica che a celebrarne i fasti, Il matematico impertinente si presenta dapprima con un “non è vero che non possiamo non dirci cristiani” (e questo l’avevano già sostenuto, prima di lui, per lo meno Bertrand Russell e Oriana Fallaci, sia pure da differenti prospettive), e che se mai non possiamo non dirci tecnologici. Ma poi, nell’“Intervista a Gesù”, assume una posizione simile a quella dei molti che, come faceva notare Silvano, distinguono nettamente il messaggio di Cristo dalla religione istituzionalizzata, a tutto vantaggio del primo.

Il secondo percorso è il dissacrante Trattato di ateologia di Michel Onfray, lettura per certi versi sconvolgente. Si tratta di un testo che può venire collocato nell’ambito della ricchissima letteratura libertina francese e italiana; probabilmente anche gli spagnoli hanno molto da insegnare in proposito, ma purtroppo non li conosco abbastanza: prometto di studiarli in futuro. Ciò che però rende Onfray più inquietante, ad esempio, del libertino de Sade è che il paradosso e l’eccesso della scrittura di quest’ultimo pone il lettore nella disposizione d’animo di non prendere sul serio ciò che legge, come se si trovasse di fronte all’iperbole di un bambino capriccioso e fanfarone. Viceversa, Michel Onfray parla in tono sì deciso, ma pacato, e argomenta con limpidi richiami alla storia e alla filosofia. Così, in un linguaggio da Nietzsche che non ha bevuto, annuncia la morte dello stesso ateismo, che lascerà il posto a un ateismo postmoderno (per motivi storici mancano parole adatte a designare, se non in negativo, le tesi dell’ateo), che abolirà non solo la teologia, ma anche quella scienza che pretenda di presentarsi come il nuovo assoluto. Dunque, né Tommaso d’Aquino, né Auguste Comte. Se mai Jeremy Bentham e John Stuart Mill, che “innalzano costruzioni intellettuali qui e ora, mirano a edifici modesti, sì, ma abitabili: non immense cattedrali invivibili, belle da vedere – come gli edifici dell’idealismo tedesco – ma impraticabili, bensì caseggiati in grado di essere realmente abitati”. A Onfray va fra l’altro riconosciuto il coraggio di non arrestarsi di fronte a nessun tabù, neppure quello di chi teme di venire confuso con antichi e odiosi persecutori, quando afferma di non sentirsi costretto, dopo l’11 settembre, a una scelta di campo per così dire obbligata fra religione ebraico-cristiana o musulmana, poiché “fra i tre monoteismi, non scegliere è legittimo”.

Non sono ottimista su questo argomento. Non credo di fare del terrorismo intellettuale, se noto, nel mondo odierno, inquietanti segnali non solo di intolleranza, ma anche di censura. Quali saranno i moderni autodafè? Quale condanna verrà inflitta a chi difende i cari vecchi valori illuministici della libertà di pensiero? Forse (nella migliore delle ipotesi) l’oblio mediatico, l’indifferenza non come suprema categoria etica (vedi Moriggi), ma come vera e propria damnatio imaginis, inedita versione dell’antica damnatio memoriae, in una società governata dalla sovraesposizione e dall’idiozia delle isole dei famosi. E nella peggiore?

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