Data: 23.06.2013

Autore: Piero Carelli

Oggetto: L’OFFENSIVA DI RATZINGER NON PUÒ ESSERE VISTA COME UNA PROVOCAZIONE ALTAMENTE POSITIVA?

Giochi di parole che non interessano a nessuno

Tutto è relativo? Supponiamo che sia così. Si può confutare questa ipotesi? Proviamo. Per farlo, dovremmo trovare almeno una proposizione assolutamente certa, un’affermazione cioè la cui negazione implica contraddizione. È possibile, ad esempio, negare che la lampada che ho di fronte a me appaia? Ovviamente no. Se lo facessi, infatti, mi contraddirei: direi che “questa” lampada (che appare: come potrei, altrimenti, affermare “questa” lampada), non appare.
A questo punto il relativista potrebbe obiettare: ma tu, in questo modo presupponi come certo il principio di non contraddizione quando, invece, questo è solo una convenzione. Si può rispondere all’obiezione? Proviamo a negare il principio di non contraddizione: che succede? Succede che chi lo nega si contraddice: se, infatti, “negassi” tale principio, non lo “affermerei” e, quindi, utilizzerei di fatto il principio e, di conseguenza lo… affermerei.
Abbiamo, allora, in mano delle “certezze” in barba al relativismo? Ma… che certezze sono? Ha importanza sapere che la lampada che ho di fronte appare e che tale lampada non può essere contemporaneamente accesa e spenta? Grazie, sommi filosofi, ma non me ne importa per nulla.
Possiamo confutare il relativismo sostenendo che chi lo afferma lo considera “vero” e, dunque, afferma come “vero” ciò che per definizione “non è vero”? Anche qui applicheremmo il principio di non contraddizione. Ma che cosa avremmo in pugno? Nulla.
Le piste che abbiamo provato a seguire, quindi, non ci portano lontano: anzi ci ingabbiano in… giochi di parole.

Quale grande problema ha avuto una soluzione indiscutibile?

L’anti-relativismo, per essere significativo, deve esibire ben altre certezze. Vi è qualche problema di quelli che davvero contano (pensiamo ai grandi interrogativi di senso) che ha avuto una soluzione assolutamente certa, innegabile? Lo si tiri fuori. L’enigma-Dio? È patetico – l’abbiamo visto al Caffè filosofico – il tentativo di risolverlo more geometrico. Problemi etici? Ma… con quale ragione li risolviamo? Ha ragione il prof. Stefano Meriggi: non ci si può staccare dalle radici, portarsi fuori. Il relativismo è, allora un “fatto”? Pare proprio di sì: le visioni del mondo, i valori non sono il risultato di categorie culturali che, a loro volta, sono legate alle “radici”?
E questo non vale solo per il presente: la storia non è una chiara dimostrazione del relativismo. È vero, sì, che nel corso della storia, vi è stato chi ha avuto la convinzione (presunzione?) di esprimere… il punto di vista di Dio, della Verità assoluta, ma è anche vero che c’è sempre stato qualche “maestro del sospetto” che ha osato individuare le “radici” di tali Verità. Tutto, allora, è storia (come diceva, tra l’altro, un certo Marx), tutto è figlio del proprio tempo? Anche le religioni? Anche le “regole logiche” (compreso il principio di non contraddizione)? Sembrerebbe di sì.

Il relativismo è davvero inaccettabile per un cristiano?

Ora, tale relativismo sarebbe inaccettabile per un cristiano? Perché mai? L’uomo è... storico. Le religioni sono... storiche. Ma... la rivelazione (si potrebbe obiettare)? Moriggi sostiene che anche la rivelazione è “interpretazione” (quindi, relativa). Mi pare esprima una tesi condivisibile. Non è la stessa storia del Cristianesimo la storia delle “interpretazioni” del Cristianesimo? Non è, dunque, la storia della religione cristiana (anche della stessa confessione “cattolica”) la... rivelazione del relativismo?
La Chiesa fa parte del tempo ed è sulla base di categorie “storiche” che “legge” il messaggio cristiano. Che cosa c’è nel Cristianesimo di “assoluto”? Nulla. Alla base di esso c’è solo la “fede”, fede che non è altro che un... salto nel buio, cioè l’antitesi della certezza (anche se può avere come contenuto una certezza). L’“Assolutamente Altro” , in quanto tale, come potrebbe essere accessibile all’uomo? La religione cristiana è strutturalmente… relativista.

Una crociata – quella di Ratzinger – per affermare “verità assolute” (religiose o metafisiche), oppure una nobile offensiva in nome della difesa dei valori migliori del patrimonio occidentale?

Il prof. Ratzinger sta facendo una crociata per vendere la fede come una “verità assoluta” o per diffondere delle verità in ambito metafisico? Non risulta per nulla. Allora, qual è il terreno dello scontro tra Moriggi e il professore diventato papa? O non c’è o, a questo livello, non si vede.
L’ambito entro cui si muovono Ratzinger e Pera (in Senza radici) apparentemente è molto più stretto: quello che intendono denunciare è il fatto che “l’Occidente non si ama”. Perché l’Occidente non si amerebbe? Perché sta svendendo il suo ricco patrimonio di valori in nome del relativismo, dell’uguaglianza di tutti i valori.
È indice di intolleranza sostenere una tesi del genere? No. Già i sofisti greci dal relativismo non deducevano per nulla che tutti i valori sono uguali. Lo ripete Moriggi: il relativismo non significa tutto e il contrario di tutto; si può, quindi, essere relativisti e, nello stesso tempo, considerare delle opzioni “preferibili” ad altre.
Ora il liberalismo (con annessa la concezione della “laicità dello Stato”) e la democrazia sono o no delle “opzioni preferibili” al fondamentalismo islamico e ad ogni forma di totalitarismo? Lo sono per Ratzinger come lo sono per Moriggi. Il match, di conseguenza, sotto questo profilo, non c’è.

Lo scontro non è sul terreno dell’“interpretazione” di valori condivisi (od “opzioni preferite”), in particolare sulla “laicità dello Stato” e sulla “libertà”?

Dove sta, allora, lo scontro? Non sta, forse, nella diversa “interpretazione” di questi opzioni (valori)? È un caso che Moriggi abbia fatto ruotare gran parte del suo discorso (lo ha ben sottolineato Tiziano Guerini) intorno alla “laicità dello Stato” e al concetto di “libertà”?
È qui, non nei... massimi sistemi, che esplode lo scontro sul relativismo: sul terreno cioè delle “opzioni politiche”.
È in nome della laicità dello Stato che è da escludere una religione di Stato. È in nome della stessa laicità che va esclusa un’“etica di Stato”? Parrebbe di sì, tanto più dopo lo... Stato etico del famigerato regime fascista. Allora, una legge dello Stato deve essere “eticamente neutra” in modo da salvaguardare la “libertà” dei singoli cittadini di scegliere sulla base della sua “etica”, anche su problematiche “bio-etiche”? È questa la tesi di Moriggi.

La scienza non offre alcune “certezze” (anche se passibili di integrazione)?

Veniamo al concreto. Come dovrebbe comportarsi un parlamentare che avesse la motivata convinzione – non sulla base della religione, ma su dati scientifici – che l’aborto (ricorro allo stesso esempio di Moriggi) sia un omicidio? Si obietterà che i “dati” scientifici non esistono perché la scienza è una serie di “congetture”. Ma è proprio così? È proprio vero che la scienza è una mera “costruzione” mentale? Le congetture ci sono, ma – a quanto mi pare di capire – sono relative ai... massimi sistemi. Sui problemi decisamente meno... abissali non esistono alcune “certezze” (certezze che, sicuramente, potranno essere integrate nel futuro)? È vero o no che l’embrione (quando i due nuclei si sono fusi) ha già l’intero patrimonio genetico del nascituro? È vero o no che l’embrione, almeno dal quattordicesimo giorno (da quando non può più scindersi), è già un “individuo”? È vero o no che, dopo circa due settimane, nell’embrione inizia a svilupparsi il primo abbozzo di sistema nervoso che consentirà all’embrione stesso di sentire (anche il dolore)? È vero o no che dopo qualche mese si sviluppa la corteccia cerebrale che è il supporto biologico della coscienza e di tutte le facoltà “mentali” dell’uomo?
Siamo di fronte a dei “dati” scientifici o a delle “interpretazioni” di tali dati? È vero che “individuo” è un concetto filosofico, ma è anche vero che tale concetto, associato al “dato” che noi conosciamo sull’embrione di due settimane, ci porta ad affermare che detto embrione è un “individuo”. È vero che il concetto di “persona” è un concetto filosofico, ma è anche vero che – posto che per “persona” si intenda “individuo di natura razionale” – si può sostenere correttamente che l’embrione, una volta che si è formata la corteccia cerebrale, ha tutti i presupposti “biologici” della “persona”. O… no?

Come dovrebbe comportarsi un parlamentare di fronte a un disegno di legge che dovesse prevedere ciò che egli ritiene in coscienza la legalizzazione dell’omicidio?

Come dovrà, allora, comportarsi un parlamentare (credente o no) che si fosse documentato sulle informazioni che ci offre oggi la biologia e si fosse fatta la convinzione – associando concetti filosofici a dati scientifici – che interrompere la gravidanza è commettere un omicidio? Dovrebbe consentire – in nome di una presunta neutralità etica della legge – quella che per lui (per la sua coscienza) è una vera e propria legalizzazione dell’omicidio o, dovrebbe, al contrario battersi perché questo non avvenga?
È questo – lo ripeto – il terreno concreto dello scontro tra relativisti e anti-relativisti, non quello dei discorsi nobili o banali (a seconda del punto di vista) sul relativismo filosofico e neppure quello – chiarissimo nel libro citato di Ratzinger-Pera – tra coloro che amano l’Occidente e, di conseguenza difendono la superiorità dei valori occidentali contro i disvalori di altre civiltà e coloro (ma… ci sono davvero?) che mettono sullo stesso piano tutti i valori.

“Laicità dello Stato” significa “neutralità etica della legge” oppure “mediazione (alta) di valori in competizione”?

È davvero possibile che un parlamentare – su tematiche che coinvolgono profondamente i “valori” che appartengono al nostro vissuto (alle nostre “radici”) – si liberi da questi valori, in cui crede fermamente, in nome della “laicità dello Stato”? Le leggi non sono portatrici di “valori”, come portatrice di “valori” è la nostra Costituzione? E, allora, come “interpretare” la “laicità dello Stato”? Come “neutralità etica della legge” (in nome della libertà di ogni singolo cittadino in tema – ad esempio – di fecondazione eterologa e dei matrimoni tra gay) o come “compromesso” tra valori in competizione?
Secondo Marcello Pera occorre andare oltre la democrazia del semplice conteggio dei voti per arrivare ad una democrazia del “senso”. Ma da dove può scaturire (escluse “rivelazioni” divine o umane) questo “senso” - che ha come oggetto il “bene” e non semplicemente “l’utile” – se non da una “maggioranza”? E come si può formare una “maggioranza” intorno ad un disegno di legge se non mediante una “mediazione” – la più possibile alta - sui “valori” (“opzioni preferite”) in competizione? La politica è non è l’arte della “mediazione”, del compromesso proprio perché è “l’arte del possibile”?

Non può assumere un significato altamente positivo l’offensiva di Ratzinger contro la “dittatura del relativismo”?

Ha una sua accettabilità il ragionamento che ho condotto fin qui? Se sì, non potrebbe avere un senso altamente positivo l’offensiva contro la “dittatura del relativismo”, se la intendiamo come ricerca del punto più elevato di mediazione tra i valori (ripeto “opzioni preferite”) che fanno parte del nostro patrimonio occidentale (in primis l’imperativo kantiano che ci obbliga a considerare l’uomo – ogni uomo – sempre come un “fine” e mai come un “mezzo”)?

Crema, 14/09/05

Piero Carelli



Un’idea

PS. Perché non prevedere in uno dei prossimi incontri sul relativismo un confronto sul concetto di “natura umana”? In che misura – in base ai dati della scienza – la natura è… natura e in che misura è una nostra “costruzione” mentale e, di conseguenza qualcosa di “artificiale”? Potrebbe indubbiamente illuminarci un po’ anche sulle problematiche – sempre più attuali e scottanti (al di là dell’esito del recente referendum) – di carattere bioetico! Si potrebbe prendere lo spunto dalla monografia che ha dedicato al tema, nell’ultimo numero, la rivista Micromega (disponibile nella biblioteca comunale).

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