Il relativismo volgare ha speranza di sopravvivere solo nelle menti dei furbi ignoranti. Il relativismo sofisticato deve essere così sofisticato da meritare a stento il nome di relativismo. (Roger Scruton)
Prescindendo dall’indiscutibile statura intellettuale e dall’abilità oratoria del giovane filosofo – fatte salve alcune strane cadute di stile, un po’ fuori luogo, che corroborano i sospetti su qualche livore ed ambizione professionale interni al mondo accademico – debbo confessare che la serata mi ha lasciato l’impressione di aver disquisito su un equivoco. Moriggi, continuo a credere, non ha parlato di relativismo per come solitamente lo si intende, finendo infatti per sostenere un’apparentemente paradossale tesi riguardo alla sua inesistenza. Egli ha magistralmente parlato di un’altra cosa. Come vogliamo chiamare la missione della filosofia di cercare pieni di meraviglia la verità piuttosto che possederla, porre come sigillo dell’indagine scientifica la controllabilità intersoggettiva e ripetibile del sapere, nonchè la competizione sul terreno dei fatti e delle ragioni di ogni tesi, da chiunque provenga? La filosofia è intrinsecamente relativista, dato che non esistono autorità assolute, ma solo teorie rivedibili. Magnifico: vorrei sentirlo ripetere ogni giorno, da estimatore di Sir Karl Popper quale sono, ma non lo chiamerei “relativismo”: lo chiamerei semplicemente esercizio della ragione. Niente di più, niente di meno. Definizione forse limitata e circoscritta, ma chiara e fertile; gli ambiti di ricerca filosofica che guardano alle categorie di totalità e infinito sono certamente affascinanti, ma continuo a preferire largamente gli analitici ai continentali. Tuttavia - checché ne dica Moriggi, che ha evitato come la peste qualunque riferimento etico perchè è giustamente fedele alla distinzione fatti / valori - la parola “relativismo” è troppo semanticamente carica e storicamente compromessa da poterla assimilare unicamente all’esercizio del libero pensiero guidato dalla sola ragione fallibile. Essa è intrisa, secondo me, di istanze ed esigenze morali, o almeno è su questi piani che tutti i dibattiti finiscono per accendersi. Io credo che persino teologi ortodossi potrebbero intendere scienza e filosofia nei termini che Moriggi ha delineato, e se si trattasse solo di ciò che egli ha esposto, non ci sarebbe screzio rilevante. A me tutta quella erudita dissertazione è sembrata quasi uno sfondare una porta aperta. Non a caso, alcuni tra gli intervenuti nel dibattito hanno forse dovuto un po’ arrampicarsi sui vetri - pur conservando una certa pertinenza - avvicinandosi pericolosamente agli attacchi ad personam, avendo pochi reali argomenti da opporre a chi sapientemente si era messo al riparo da superficiali osservazioni (questo non vuol dire che non fossi d’accordo con loro, compresi certi dettagli polemici che ho trovato anche divertenti).
Mi è parso dunque che uno strawman aleggiasse infido intorno al discorso Moriggiano, anche se nel suo caso non si è trattato di combattere una tesi (il relativismo) dàndone però una versione caricaturale inesistente, ma piuttosto tentare di sostenerla scambiandola tuttavia con qualcos’altro che relativismo forse non è. Non vorrei comunque sembrare troppo presuntuoso nell’accusare un epistemologo di errori logici. Probabilmente sono io ad aver frainteso; ma forse no, se si vogliono accettare almeno in parte le accezioni di relativismo che, istintivamente, mi provocano sensi di fastidio: quelle che discutono la dimensione etica del vivere, piuttosto che quella meramente gnoseologica. Bene fa Piero Carelli a scrivere che dell’apparenza non contraddittoria delle lampade non ci importa nulla: c’è ben altro che un ozioso crampo logico-linguistico nelle faccende filosofiche, con buona pace di Wittgenstein, il quale infatti rimase un uomo profondamente inquieto e tormentato per tutta la vita alla ricerca di un approdo. Su questo terreno vorrei però mettere le mani avanti, per evitare fraintendimenti grossolani. Non ho la minima intenzione di spostare il nucleo del problema verso posizioni appiattite sul recupero delle radici o peggio “difesa delle tradizioni”, e neanche prendere partito per Joseph Ratzinger. E ancor meno fare il pistolotto: i moralisti sono sempre personaggi insopportabili. Piuttosto, vorrei partire da un banale dato di fatto per evidenziare quelli che, a mio modo di vedere, sono i veri motivi del contendere.
Il dato di fatto è presto detto. Nonostante sia troppo giovane e poco qualificato per recuperare la storia dei dibattiti europei sul relativismo, che probabilmente gli addetti ai lavori non hanno mai abbandonato, mi pare difficilmente negabile che se in data 11 Settembre 2001 non fosse successo quello che è successo, con tutta probabilità non ci troveremmo ora a discutere di relativismo, specie culturale. E’ stato quello spartiacque storico – che un giorno vedremo solo come convenzionale, dal momento che l’ideologia che lo ha prodotto gli è di molto antecedente ed aveva già dato prova di sé – a farci prendere coscienza dell’esistenza di mondi apparentemente incompatibili o conflittuali col nostro, gettando le basi per il dibattito odierno. E va da sé che, strettamente parlando, logica ed epistemologia non c’entrano. La visione vagamente surreale di donne esiliate dal mondo fisico alle quali veniva (viene) negato il diritto di ridere ed emettere rumori camminando non è qualcosa che tocca direttamente le teorie della razionalità, ma questioni che sconfinano decisamente in un altro territorio: quello della dignità della persona e dell’intangibilità della vita umana. Per i relativisti veri – non quelli à la Moriggi, tra i quali mi metterei anch’io – si potrebbe giustificare chi lapida una donna per adulterio ricorrendo al legame che lo vincola ad una società che lo ritiene un atto di giustizia, nei confronti della quale non dovremmo avere nulla da dire, appartenendo a coordinate culturali incommensurabili. Moriggi ha in effetti sfiorato quello che io chiamerei correttamente relativismo citando Feyerabend, che del concetto di incommensurabilità (fra teorie scientifiche) ha fatto un cavallo di battaglia, come anche Kuhn: non a caso, questi due autori sono stati accusati proprio di essere dei relativisti. Feyerabend, con l’altro della triade antipopperiana Lakatos, chiamava il vecchio dinosauro dalle enormi orecchie “il Gran Sultano Al Poppuni”, presunto despota della Verità che tenta di approssimare senza mai raggiungere, usando il limitato metodo del trial and error. Le critiche dei due ex allievi dissidenti sono ottime, ma quando Feyerabend cerca di farci credere che accanto a Galileo e Newton occorra proporre anche Tolomeo ed Aristotele perchè le loro teorie sarebbero non meno coerenti, esplicative e degne di essere scelte nei curriculum di studi, non posso che chiudere Against Method e passare ad altro, perchè ci dev’essere qualcosa che non funziona. Si potrebbe ricorrere ad infiniti esempi e fare molti nomi e cognomi tra coloro i quali sostengono idee di questo tipo anche in ambito non scientifico, ma vorrei evitare toni troppo appassionati che pure, dato il tema, userei.
Io credo che un insieme di princìpi fermi, irrevocabili, non negoziabili ed interculturali sia estremamente ristretto, ma esista. Elencarli suonerebbe quasi pleonastico, se non fosse che spesso dimentichiamo, appartenendo forse al pezzo di mondo che meglio di ogni altro cerca di applicare quei princìpi, che essi non sono affatto condivisi da tutti, o comunque vengono fortemente stemperati. Mi pare che possano appartenere a questo insieme le seguenti norme (altre ne aggiungerei, ma cerco appunto di evitare ciò che qualcuno potrebbe interpretare come imperativi troppo legati alla cultura occidentale):
Sacralità della vita umana (intesa proprio come valore non relativizzabile)
Rifiuto della violenza come ordinario metodo di amministrazione delle cose umane
Rispetto dell’integrità corporea e psichica della persona, ivi comprese le forme di umiliazione e sottomissione praticate attraverso l’imposizione di abbigliamenti o comportamenti
Già mi sembra di udire l’obiezione del relativista. Anche l’Occidente non rispetta questi “comandamenti”. Il punto è che gli ordinamenti democratici ed il comune sentire nel mondo occidentale rigettano e puniscono chi si rende responsabile della loro violazione (non sempre perfettamente: ma questa fallibilità non cambia il giudizio complessivo). Vogliamo ritenere che ciò sia un dettaglio inessenziale?
Proviamo a pensare per un attimo di relativizzare le massime sovrastanti. Il mondo diverrebbe un arcipelago di isole non comunicanti in perenne guerra tra loro, dove l’uomo non avrebbe più nemmeno gli strumenti per avvicinare il proprio simile.
Ebbene, si dà il caso che l’Occidente più superficiale ed incosciente non si rende conto che oggi esiste, ad esempio, un’ideologia demoniaca del tutto paragonabile ai totalitarismi novecenteschi che disconosce tutte e tre le norme di cui sopra. Non ho bisogno di ricordare qual è; non è la prima volta che ne scrivo, ed ancora ne scriverò, ogni volta che il tema me lo permetterà. E’ la stessa fetta di Occidente che arriva a far ricadere su se stesso la responsabilità ultima di quella barbarie, perchè sta perdendo i parametri intellettuali per riconoscerla per quella che è. Non ho il timore di incorrere nella stessa fallacia che ho menzionato sopra attaccando il pensiero relativista vivo in Europa. Infatti, non c’è bisogno di fabbricarsi opinioni estreme ad hoc da criticare, perchè vengono fornite persino attraverso i mass media da intellettuali di grido: Gianni Vattimo ritiene che Abu Musab al-Zarqawi sia un’espressione culturale rivoluzionaria che intende a modo proprio la lotta per la “libertà”. Fanno le loro “schifezze”, Vattimo dice, ma tutti i rivoluzionari all’inizio le fanno, poi rientrano nei ranghi. Sono sicuro che per la stragrande maggioranza delle persone eticamente dotate questa presa di posizione rappresenta un’aberrazione disgustosa. E, per carità, non si scada nei giochetti volgarmente relativisti cominciando a chiedere “ma di quale etica stai parlando...?”, od obiezioni similari. Moriggi ha parlato di opzioni etiche: mi pare che la vita e la salute non siano opzionabili; nondimeno, il suicidio–omicidio come glorioso atto di martirio è considerato etico per troppe persone (pretendere che ciò non sia vero o che sia eccessivo è solo un ulteriore atto di incoscienza, se non di colpevole ignoranza). Relativizzare il giudizio morale su queste macchine di indottrinamento ideologico significa solo gettare la spugna, rifiutare di prendere atto di un problema drammatico che investe anche chi fa finta di non vederlo.
Data: 23.06.2013