Il ruolo di “provocatore” che svolgi è, senza dubbio, utile in una società, come la nostra, in cui assistiamo ad un pensiero tendenzialmente unico. Un ruolo, addirittura, necessario: c’è bisogno (eccome!) di seminatori di dubbi, di idee contro-corrente.
Fai bene, quindi, a “provocare”.
Ma... c’è modo e modo di provocare. C’è il modo cosiddetto “socratico”, ad esempio. E’ questo il tuo modo? A me pare che tu sia lontano anni luce dall’appassionato “ricercatore” ateniese della verità: Tu la verità non la ricerchi, non hai la consapevolezza dei limiti del tuo sapere. Tu, la Verità la possiedi: la Verità scientifica, naturalmente. Tu ti credi un “illuminato”: per questo vedi intorno a te le “tenebre” delle “superstizioni, delle “sopravvivenze culturali”. Da qui il tuo ruolo (che dimostri più nei tuoi interventi pubblici che nei tuoi libri): condurre una battaglia culturale, lancia in resta, tesa a sradicare dalla mente degli uomini le superstizioni, diffondere “les lumières de la raison”, strappare la gente all’oscurità. Un ruolo che nel ‘700 può avere avuto le sue buone giustificazioni. Ma... oggi, in un’era in cui sono tramontati gli “dèi”, ha ancora senso creare un nuovo “idolo”, un nuovo “Assoluto” (la Ragione scientifica, appunto)? Ha ancora senso idolatrare la scienza quando gli stessi scienziati hanno sempre più la consapevolezza del carattere “congetturale” delle loro discipline? Non è poi pericoloso questo nuovo “idolo”? Non è in nome della “Ragione” e della “Ragione scientifica” che si sono perpetrati delitti contro l’umanità?
Alt, alt – mi dirai: qui c’è un equivoco, qui ci sono insinuazioni che non hanno alcun fondamento!
Un equivoco, insinuazioni senza fondamento? Non è pericoloso giudicare come “superstiziose” delle “visioni del mondo” (in primis le religioni) perché prive di un supporto scientifico?
Tu obietterai che
il politeismo dei valori non impedisce a ciascuno di noi di valutare gli altri col metro dei propri valori;
lo stesso Socrate fingeva di non sapere, ma in realtà sapeva benissimo di sapere più degli altri;
la scienza non è tutta una “congettura” perché talune sue affermazioni (dal moto della Terra intorno al Sole alla gravità al ruolo strategico – nell’uomo – della corteccia cerebrale) sono certezze.
Facciamo, allora, un esempio. Prendiamo in considerazione un problema oggetto del territorio di tua competenza: quando si può parlare di “persona”? Si tratta di un quesito che non ha alcun senso per i biologi, non solo perché il concetto di “persona” esula dal loro territorio di competenza, ma anche perché, nel caso dell’embrione, una volta i nuclei dei due gameti si sono fusi (singamia), si è in presenza di un nuovo essere umano che registra una sostanziale continuità nel suo sviluppo.
Che cosa si intende per “persona”? Il concetto è maturato nel Medioevo in ambito filosofico (o meglio filosofico-teologico). Il suo significato è quello di “sostanza individua di natura razionale”. Si tratta di un concetto ancora spendibile oggi? Proviamo a spenderlo, tenendo conto, naturalmente, dei dati biologici. Una cosa pare certa (e tu lo sostieni a lungo nei tuoi libri): se per embrione si intende qualcosa di “indivisibile”, qualcosa le cui parti sono subordinate al tutto, allora l’embrione diventa un “individuo” dopo il quattordicesimo giorno (quando, cioè, non può più dividersi). Quando diventa “di natura razionale”? E, prima ancora, chi (o che cosa) si può definire “di natura razionale”? Che cosa caratterizza la “natura razionale”? L’autocoscienza, l’intelligenza astratta, la libertà... – ciò che comunemente consideriamo tipico dell’uomo rispetto all’animale? Se sì, tali caratteristiche devono essere possedute “in atto” o “in potenza” (ricorriamo sempre alle categorie della tradizione filosofica)?
Se optassimo per la prima ipotesi (il possesso in atto), dovremmo considerare “non persone” una miriade di individui umani che comunemente definiamo “persone”: neonati, handicappati psichici gravi, individui in stato vegetativo permanente...
Proviamo ad optare per la seconda ipotesi (il possesso in potenza). Anche qui il problema si fa complesso. Teniamo sempre presenti i dati “biologici”. La potenzialità è data al momento
¡ della fusione dei due nuclei (quando cioè si forma il nuovo patrimonio genetico),
¡ della nascita del primo abbozzo di sistema nervoso,
¡ oppure della formazione della corteccia cerebrale? Nei primi due casi la legge sull’interruzione della gravidanza sancirebbe un omicidio.
Optiamo, allora, per il terzo caso? Se la “persona” (il possesso potenziale delle caratteristiche tipiche dell’uomo), c’è quando si forma la corteccia cerebrale, allora si può definire morta una persona quando tale corteccia non è più in grado di funzionare: è il caso dello stato vegetativo permanente. Non è una conseguenza da poco: se la morte “personale” è caratterizzata dalla “morte corticale” (e non dalla morte cerebrale), allora non sarebbe del tutto lecito interrompere l’alimentazione artificiale ad un individuo che si trovasse in tale situazione?
Il “problema” – tu ben lo sai – è “complesso”. Sono gli stessi dati scientifici che lo rendono ancor più complicato. Ciò che possiamo affermare è solo una serie di “se... allora”. In tutti i casi, poi, ci troveremmo in presenza di conseguenze per molti “indesiderabili”: o la concezione dell’aborto come omicidio, oppure l’esclusione dal novero di “persone” di una serie di individui che, in base a visioni del mondo diffuse, consideriamo “persone”.
E allora? In assenza di risposte “certe” della scienza e della “filosofia”, non dobbiamo far riferimento alle concezioni che tu definisci “superstizioni” e “sopravvivenze culturali”? In assenza di “assoluti” (anche nel campo etico), in presenza di un politeismo dei valori, non dobbiamo, allora, puntare ad una “mediazione” tra valori etici che convivono nella nostra comunità? Che senso avrebbe una crociata di matrice illuministico-positivistica? Dove sarebbero le “tenebre”?
E’ “oscurantista” la legge sulla procreazione assistita perché proibisce la fecondazione “eterologa”?
E’ nemico dei “Lumi” chi sostiene che il bambino ha diritto di sapere chi sono i suoi genitori?
E’ “una sopravvivenza culturale da disprezzare il sostenere un modello di famiglia costituito da due “genitori” di sesso diverso e dei figli da loro “generati”?
In un’epoca in cui “Dio è morto”, vi è un’alternativa alla ricerca di un “punto di equilibrio” di valori diversi? Diceva nel lontano ‘600 il buon Locke che solo la religione che predica la tolleranza può considerarsi vera. Non è seguendo la sua lezione che abbiamo conquistato il “valore” del pluralismo etico? Non è pericoloso violare tale valore in nome di una forma “laica” di fondamentalismo? Il nostro tempo ha bisogno di nuovi “crociati” (senza croce o... contro la croce?), oppure di “tafani” che ci stimolino ad aprirci alla “complessità”?
Ciao,
Piero Carelli
Data: 28.06.2013