Data: 28.06.2013

Autore: Mauro De Zan

Oggetto: R: Caro Piero

questa mia risposta alla tua risposta a Mori non vuole essere affatto una difesa di Mori che come ben sappiamo sa difendersi benissimo da solo. Piuttosto mi interessa trattare di alcune questioni che tu sollevi e che toccano la concezione di illuminismo, ragione etc.. Tu scrivi che Mori ha idolatrato la ragione (scritta con la maiuscola) in quanto è, o crede di essere, un “illuminato”, uno che, a differenza degli scienziati, idolatra la scienza. A me non è parso che Mori fosse su queste posizioni. Ha fatto un discorso forse un po’ affrettato sull’industrialismo, ma quel che ha detto mi è sembrato molto sensato: viviamo in un‘epoca industriale che ha sconvolto e sta sconvolgendo tutta le nostre concezioni più profonde, smettiamola di piagnucolare contro i mali dell’industrialismo e vediamo di convivere con esso; tanto con questo mondo (che è l’unico cha abbiamo) dobbiamo conviverci e quindi cerchiamo delle soluzioni per viverci meglio possibile.

In fondo ha detto quello che tutti i pensatori con la testa sulle spalle da Marx in poi hanno detto: lo sviluppo del capitalismo ha scatenato enormi potenzialità produttive che determinano nuovi modi di vivere assolutamente diversi dai precedenti. Dire che il capitale o i capitalisti sono “cattivi” e che dobbiamo “tornare indietro” è, come diceva Marx, una grande sciocchezza. Mentre Marx sembrava abbastanza sicuro di quali sarebbero stati gli sviluppi futuri della società, altri ne sono più dubbiosi; e credo che Mori si collochi fra questi. Tra prendere atto dello stato di cose (viviamo in una società altamente tecnologica e scientifica) e idolatrare questo stato di cose secondo me passa un’ evidente differenza. Insomma non fare i moralisti, non significa accettare la realtà come qualcosa di giusto in sé. Al contrario è il modo corretto per iniziare a capire la realtà senza pregiudizi e a trovare soluzioni per i nostri problemi. E qui interviene la ragione che, se intesa in senso illuministico, va senz’altro scritta sempre con l’iniziale minuscola.

Per tutti gli illuministi la ragione è sempre solo uno strumento a cui facciamo ricorso per risolvere i problemi che ci affliggono. Gli illuministi hanno sempre saputo che la ragione non è in grado di risolvere tutti i nostri problemi anche perché noi stessi non conosciamo con certezza quali essi siano in realtà: spesso infatti dei falsi problemi ci hanno occupato la mente a lungo, mentre non abbiamo dato importanza (neppure li abbiamo visti di striscio) i veri problemi. Amano scrivere ragione con la “r” maiuscola coloro che credono che essa viva fuori dalla nostra mente, nella Natura o in Dio, che essa regoli le nostre vite etc. Ma questo non ha nulla a che vedere con l’illuminismo, anzi ne è la palese negazione. Quindi Mori non credo usi parlare della ragione con la maiuscola in quanto appunto si definisce illuminista: se lo facesse, se avesse questa concezione assolutista della ragione, sarebbe in palese contraddizione con se stesso.

Questo preambolo per venire al punto che più mi interessa: tu scrivi che Mori è un fondamentalista laico e che di fatto, essendo un crociato “illuministico-positivista” è intollerante perché coloro che sono tolleranti, e citi Locke in modo poco chiaro, cercano il compromesso la convivenza tra tutte le posizioni. E’ un problema che mi interessa in sé, dicevo, e quindi Mori non c’entra più di tanto. Trascuro l’espressione illuministico-positivista che non comprendo per quel che ho detto sopra, ma è un indizio di una mentalità ben radicata di matrice cattolica e forse neomarxista (di quel marxismo moralistico di cui sopra) che ritiene pericolose tutte le culture cresciute fuori e contro la tradizione. E’ corretto definire fondamentalista una qualsiasi battaglia condotta utilizzando come strumento la sola ragione? Se è così allora la filosofia, intesa come ricerca razionale, è fondamentalista perché dalla sua origine ha sempre fatto della lotta contro le false credenze la sua ragion d’essere. Che Mori sia più rompiballe di Socrate è probabile, però per esserne certi dovremmo poter calarci nella realtà dell’Atene dell’epoca dove pochi decenni prima Anassagora era stato allontanato perché disse, tra l’altro, che il Sole era una pietra grande quanto il Peloponneso. Tutti noi siamo pronti a dire che Socrate fu un uomo eccezionale e gli ateniesi degli idioti a condannarlo, però se oggi si presentasse qualcuno con la carica eversiva che Socrate doveva avere agli occhi degli ateniesi, sono certo che noi (intendo la maggioranza, non certamente chi mi legge:-) ) ci comporteremmo come gli ateniesi.

Credo che qualsiasi battaglia contro valori tradizionali sia in sé dura, tagliente, polemica; altrimenti che battaglia sarebbe? Ma per questo va detto che è segno di “intolleranza” di “fondamentalismo laico”? Io me lo chiedo a volte (ad esempio pensando alle posizioni della Fallaci), ma credo che sia sbagliata questa impostazione, almeno quando parliamo di battaglie condotte per eliminare tradizioni che col loro permanere rischiano di creare dolore e persino un pericolo per la vita di molti uomini e donne. Come sai sono un appassionato dello sviluppo del sapere del secolo dei lumi e vorrei parlare brevemente di un caso interessante: l’inoculazione del vaiolo che fu tentata a più riprese nel corso del secolo XVIII (anche in Italia), fino alla scoperta del metodo del cosiddetto “vaiolo vaccino”, cioè del vaiolo prelevato dalle mucche e iniettato ai bambini, operazione che a differenza delle altre forme di inoculazione del vaiolo si rivelò meno pericolosa. Di fronte alla scoperta che iniettando il vaiolo ai bambini si avevano buone probabilità di impedire loro di prendere il vaiolo in forma “maligna” emersero due posizioni chiare e altre più complesse. Da un lato ci furono coloro che dicevano che se il vaiolo c’era era per volontà divina (come tutte le malattie) e che l’unica cosa da fare in caso di epidemie era di pregare (lo stesso Muratori “cattolico illuminato” concludeva il suo libro Sul governo della peste con una serie di preghiere a suo dire particolarmente efficaci), all’opposto gli illuministi facevano il diavolo a quattro perché fosse estesa la pratica dell’inoculazione per il bene delle future generazioni. Altri dicevano che bisognava calcolare i costi e i benefici di una tale operazione: ad esempio alcuni dicevano che facevano bene gli inglesi a far vaccinare i loro figli perché avevano bisogno di forza lavoro, mentre in Italia era meglio che una parte della popolazione fosse spazzata via dalle epidemie per contenere la disoccupazione e il malessere sociale (non scherzo!); altri ancora dicevano che bisognava calcolare la percentuale dei bambini che morivano a causa dell’inoculazione e quelli che si sarebbero salvati grazie all’inoculazione da possibili future epidemie. Insomma un calcolo delle probabilità e poi decidere, senza cadere in facili sentimentalismi. Io credo che la prima posizione fosse semplicemente oscurantista e che era giustificata la lotta contro di essa in quanto ostacolava la soluzione del problema. Mentre sulle altre posizioni andava aperta la discussione: era meglio agire in nome del bene attuale dell’individuo, del suo bene futuro, della società, o di coloro che detengono il potere economico? Se prendiamo l’attuale situazione circa i modi di prevenire la diffusione dell’Aids nel Terzo Mondo trovate qualche analogia? Io sì, e parecchie, a partire ovviamente dalle posizioni oscurantiste di alcuni capi religiosi cristiani o islamici che vanno combattute per poter affrontare con qualche speranza di riuscita il problema. Ma anche sulle altre ci sono analogie istruttive.

Quindi essere tolleranti non significa accettare qualsiasi posizione e cercare una mediazione. Lo stesso Locke diceva che la tolleranza non andava estesa ai “papisti” che considerava più o meno dei terroristi in quanto nemici della nazione e dello stato inglese e soprattutto intrinsecamente intolleranti e infine degli atei perché riteneva che una società non potesse reggersi senza un forte legame con la divinità da cui essa dipendeva. Sarà solo J. Stuart Mill a sollevare a metà Ottocento la questione dei diritti degli atei affrontando un tema giuridico: era lecito negare ad un ateo di testimoniare in un processo perché non poteva giurare sulla Bibbia? Anche in questo caso è evidente per noi (spero per tutti noi) che il divieto è di chiara matrice oscurantista e non può essere accettato.

Ma perché riteniamo ogni volta che delle ingiustizie radicate, che solo con grandi fatiche e dolori personali qualcuno è riuscito a incrinare, siano oggi giustamente improponibili e non ci domandiamo se ancora non permangano delle ingiustizie analoghe, che semplicemente non vediamo, fino a quando qualcuno non si sforza di renderle palesi con debole luce della ragione?

Nuovo commento