Data: 28.06.2013

Autore: Piero Carelli

Oggetto: Risposta

Il piacere di discutere, di confrontarsi, di gridare anche il nostro dissenso. È questa la “formula” del nostro Caffé filosofico. Ed è questa – credo – la formula della stessa ricerca filosofica. Grazie, quindi, a Maurizio Mori che ha acceso il dibattito. E grazie a Mauro De Zan che l’ha rilanciato. Il bell’intervento di Mauro mi intriga e mi fornisce l’opportunità di chiarire e sviluppare il mio modesto “contributo”. Che cosa mi sono proposto col mio “Caro Maurizio…”? Prendere le distanze dal furore iconoclastico con cui Mori, in nome della scienza, si è scagliato contro le “superstizioni” e le “sopravvivenze culturali” (un furore che – a dire il vero – non si rintraccia nelle sue opere dove l’approccio ai problemi è spesso più “problematico”, più “complesso”).

Una lettera aperta, la mia, in difesa della “tradizione”, della “religione” dei padri? Una presa di posizione incapace di distinguere i “lumi” della scienza dall’“oscurità” delle superstizioni? Un inno alla tolleranza che pone sullo stesso livello i “progressi scientifici” e le “sopravvivenze culturali”? Un rozzo attacco consumato falsificando addirittura la storia? Niente di tutto questo (almeno nelle intenzioni). Io non ho scritto un saggio storico, ma un pezzo “polemico”, a tratti “ironico” (vedi l’enfasi voluta sulla “Ragione” illuministica). Sull’illuminismo storico concordo pienamente con Mauro. La storia è sempre più complessa delle nostre categorie “ingabbianti”. A chi mi sono riferito col termine “illuminismo”? Al Voltaire del Dictionnaire philosophique e delle ultime opere, al Voltaire cioè che, la bandiera dei “lumi” in pugno, lancia contro le religioni positive degli attacchi sarcastici. Ecco perché mi sono permesso di accostare il termine a quella che mi pare una “crociata laica” di Mori contro le “superstizioni”.

Fare ricorso alle “etichette” è normale. Che cosa sono, ad esempio, “l’etica della sacralità della vita” e “l’etica della qualità della vita”, di cui tanto parla Mori nei suoi libri, se non delle “etichette”, delle categorie semplificatrici? Non è un’etichetta la stessa parola “scienza”? In ultima analisi, non è lo stesso nostro linguaggio ad essere costituito da simboli-etichette generali?

Gli illuministi – sostiene Mauro – non idolatravano la ragione. È vero. Ma il Voltaire, a cui ho fatto riferimento nel contesto del mio pezzo polemico, non ha di fatto tradito la lezione empiristica sui limiti della ragione umana a cui aveva attinto, dando proprio l’impressione di fare della ragione un metro assoluto?

Veniamo agli altri interrogativi di maggior peso. Io non ho dubbi: benvenuti i “progressi scientifici”! Si tratta di progressi che non ampliano solo la “conoscenza” dell’uomo, ma anche la sua possibilità di scelta. Ma… quale il “metro” con cui noi poveri mortali scegliamo? Non lo possiamo chiedere alla scienza. Dove troviamo, allora, questo metro? Storicamente sono la filosofia e la religione che si sono occupate di problemi “etici”. Che cosa può dirci, allora, la filosofia in proposito? Di assoluto, niente. Così, almeno, credo. E lo credo non certo in omaggio alla “morte di Dio” di Nietzsche. Chi – e in base a quale rivelazione sovrumana – è in grado di dire verità assolute (sciolte dalla soggettività e dalla storia)? Platone (anche questa è una categoria) è morto. E morto, per certi aspetti, è pure Socrate: quale mai Socrate può oggi aiutarci a “partorire” la verità? Il nostro è il tempo dei “sofisti”. Di che cosa parliamo quando trattiamo di valori etici e delle stesse visioni del mondo su cui tali valori sono radicati? Di “opinioni”. Il nostro è il “tempo delle opinioni”. Opinioni che, in quanto tali, sono sullo stesso livello? Per nulla. Ognuno di noi fa propria un’opinione perché la considera più “convincente” di altre. Convincente in base a che cosa? In filosofia la forza persuasiva è data, per lo più, dall’argomentazione razionale. Ricadiamo, allora, nella trappola dell’idolo-ragione? No: noi siamo consapevoli che ogni argomento razionale, anche se fortemente persuasivo, è sempre strutturalmente “debole”. Che fare, dunque, in presenza di “opinioni” più o meno convincenti? Si può far prevalerne una sulle altre? Si può far prevalere, ad esempio, la definizione di “morte corticale” (pur avendo, a mio avviso, una notevole forza persuasiva)? Si può far prevalere la fecondazione eterologa? Chi e con quale autorità potrebbe farlo? La filosofia è un terreno di “confronto”: siamo tutti nell’agorà e tutti cerchiamo di difendere le nostre posizioni contro le altre. Non vedo vie di uscita: la filosofia è (e, credo, sarà) un campo di lotta senza fine. E allora? La filosofia (e la bioetica) è oggettivamente incapace di dettare “norme” che valgono per tutti. L’unica via di uscita è quella “politica”. Ma chi decide (e deve decidere) in politica? Chi deve esprimere la “volontà generale” di Rousseau? Chi è in grado di cogliere il “Bene” generale al di là degli interessi privati? Chi è capace di scegliere col metro dell’intelletto “puro”, “libero” dalle passioni, dai punti di vista particolari? I filosofi al potere? Robespierre, Stalin…? Non vi è alternativa – se si vuole evitare il totalitarismo – alla conta banale dei voti. Le maggioranze, certo, possono cambiare e, quindi, è legittimo battersi contro una legge con l’obiettivo di costruire intorno alla propria proposta una nuova maggioranza. Ma è lecito, in un tempo in cui si confrontano “opinioni”, tacciare di “oscurantismo” le posizioni che non si condividono? Non si rischia di scivolare in un “fondamentalismo laico”? Non vi è nessuno “illuminato”, come non vi è nessuno che , ahimé, si trova nelle “tenebre”. Stiamo parlando dell’ambito filosofico. Qui non è in ballo la scienza (con i suoi “lumi” contro le “superstizioni”) perché essa non ha alcuna competenza in campo etico. Questo significa “tollerare” – in nome di un irenismo astratto, in nome del nuovo idolo del pluralismo - qualsiasi concezione, compresa l’infibulazione? Niente affatto. Locke così afferma: “nella tolleranza io vedo il più importante segno distintivo della vera chiesa”. Ma, nella stessa Lettera sulla tolleranza, quando parla di Stato, si affretta a chiarire i limiti (che ha evidenziato Mauro) di tale tolleranza. Come potremmo noi rinunciare al patrimonio di “valori” (delle opinioni che noi consideriamo “fortemente persuasive”) che abbiamo conquistato con lotte?

Non sono un difensore della tradizione (chi mi conosce, lo sa). Ritengo, anzi, quanto mai utile il ruolo del provocatore” (alla Mori o anche alla stessa Fallaci). Ma ho anche paura del “fondamentalismo laico” che può essere pericoloso (la storia dei totalitarismi laici insegna) almeno quanto quello religioso.

Certo, tutto è “storico”. Anche queste nostre riflessioni. Qualcuno – chissà – domani potrà ridere delle colonne d’Ercole che noi abbiamo eretto, come oggi possiamo ridere dell’idea di Locke secondo cui lo Stato non deve tollerare né cattolici né atei. Tutto è storico. Ma questo è il nostro tempo in cui dobbiamo vivere, orientarci, decidere: il tempo del pluralismo, dei valori liberali e della democrazia.

Nuovo commento