Data: 28.06.2013

Autore: Tiziano Guerini

Oggetto: A proposito della filosofia come " luogo del libero confronto."

Tutti credono alla libertà di opinione, ma nessuno che fondi veramente tale opinione. Parrebbe essere un assioma, quando invece per secoli si è creduto il contrario: ma allora, si dice, si sbagliava: su questo l’opinione è certa!

La ragione porterebbe al libero confronto di opinioni, senza che ci sia un metro assoluto per dire quale opinione sia giusta e quale sbagliata. Naturalmente si crede che tale affermazione sia del tutto giusta!

Che cosa sia la filosofia a questo punto non è chiaro (d’altra parte ognuno può avere la sua opinione!): un luogo di puro dibattito senza conclusioni che non siano provvisorie (quanto possono durare?), una ricerca continua di cavilli da parte di chi per natura sia un "bastian contrario", un confronto di opinioni genericamente politiche alla ricerca (infinita) di un benessere collettivo che porti al migliore dei mondi provvisoriamente possibile? O un insieme di tutto questo?

Argomentare infinito che è sotto gli occhi di tutti, senza chiavi interpretative definite.

Possibile che la filosofia sia questo?

Non credo: la fiducia nella ragione non è quella che riduttivamente pensavano e pensano gli illuministi ("la ragione risponde nei limiti delle proprie forze e capacità, se ben usata"), che rimangono sul piano della riflessione "pratica" senza peraltro nemmeno avvertire l’esigenza di definire tale piano di riflessione, considerandolo a priori l’unico possibile.

La ragione ha ben altri motivi per pretendere la nostra fiducia, ben oltre quei limiti nei quali l’uomo degli illuministi si è da solo rinchiuso per incapacità o per sfiducia.

Certo l’Illuminismo ha avuto il merito di spazzar via "inveterate credenze e false superstizioni", ma ha avuto il torto di credere che ad esse si dovevano sostituire nuove credenze e nuove superstizioni, in attesa di essere spazzate via anch’esse. La novità per la novità!

Null’altro che una rinnovata affermazione del "divenire".

E allora bisogna che tutto questo provvisorio argomentare (che non è per niente tutto sbagliato, anzi) mostri finalmente il proprio fondamento (assoluto); e lo mostri non rinnegando il passato ma cogliendone la profonda motivazione: anche l’assoluto della metafisica era ed è funzionale alla individuazione di una dimensione (che da ultimo diventa contraddittoriamente l’unica) dove tutto sia provvisorio, dove l’argomentare sia affidato alle capacità dialettiche della violenza più o meno palesemente mostrata (la guerra o la pubblicità), dove l’umanità sia veramente una "canna al vento". Non è negando l’assoluto (peraltro in modo assoluto, pena lasciarlo vivere) che ci si salva dalla violenza del pregiudizio: al contrario se ne diventa maggiormente succubi. Dal pregiudizio si esce col "giudizio", oppure non se ne esce. O, peggio, si curano gli effetti senza curarsi delle cause.

Quest’ultima affermazione mi introduce all’argomento specifico dei limiti della tecnologia (non della scienza che, in quanto teoria, è giusto non abbia limiti che non siano legati alla conoscenza progressiva). Prendiamo due campi dove la tecnica è oggi particolarmente vivace, anche per rimanere in tema: l’informatizzazione e la biogenetica. L’oggi sociale richiede certo maggior efficienza, ma pensare che questo si possa risolvere solo in un bisogno di maggior tecnologia, rischia di essere pericoloso perché può risolversi in una "delega in bianco", con la politica che rischia di farsi espropriare dei suoi compiti di scelta e di decisione su gravi questioni sociali. Occorre essere convinti che la tecnologia non è mai neutrale, nonostante faccia di tutto per apparire tale: cosa si farà della sorveglianza totale delle persone che la tecnologia dell’informatizzazione può ormai garantire? Di chi e di che cosa sarà al servizio: del rispetto della persona o dell’interesse delle imprese? Si ridurrà ad una schedatura totale di tutti con la scusa di reprimere il crimine senza bisogno di rimuoverne le cause? E nel campo della biologia medica si salverà veramente la decisione autonoma della persona rispettando la parte più intima della sfera privata, oppure di fatto verremo tutti condizionati dall’aver reso possibile l’impossibile?

Anche analizzando il puro piano "della prassi" balza quindi prepotente ed ineliminabile l’esigenza di un piano più profondo e definitivo: è questo il piano che considero veramente filosofico.

Tiziano Guerini

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