Data: 28.06.2013

Autore: Mauro De Zan

Oggetto: Chiarimento

Caro Piero ti ringrazio per il tuo nuovo intervento che mi permette di chiarire meglio quanto volevo dire nel mio precedente intervento. Sono pienamente d’accordo che la filosofia è il luogo del libero confronto tra opinioni e che non vi è alcun metro assoluto che permetta di dire quale opinione è del tutto giusta e quale del tutto errata. Però non credo che siamo in una situazione in cui ci si debba limitare a prendere atto che la maggioranza ha sempre ragione. Dobbiamo prendere atto che le leggi vanno rispettate, ma vanno anche discusse e criticate. E questa è già una grande conquista a cui siamo giunti grazie a uomini di buona volontà che hanno duramente lottato perché ciò fosse possibile almeno in alcuni paesi tra cui , fortunatamente, il nostro. Come tutte le conquiste è però precaria e dobbiamo vigilare perché questo patrimonio non sia disperso. Per questo è bene vigilare sia nei confronti di chi ha nostalgie teocratiche e/o totalitarie. Ma non credo che gli "illuministi" che hanno fortemente contribuito alla nascita e allo sviluppo di questo sistema, di questa società tollerante o aperta, possano essere un serio pericolo per esso. Semmai essi sono i migliori guardiani della libertà di opinione e del rispetto delle leggi approvate dalla maggioranza, anche quando queste sono impregnate di spirito antilluminista. Non credo neppure che la filosofia illuminista sia incapace di indicare dei principi universalmente validi anche se non assoluti; cioè principi "cresciuti" lentamente, ma del cui valore oggi siamo tutti convinti. Nel precedente intervento facevo l’esempio del diritto di ciascun cittadino di testimoniare in un processo: oggi è un diritto che riteniamo non possa essere tolto a chi ha o non ha certi credi religiosi o ideologici e quindi lo riteniamo universale.

Anche in campo etico credo che la riflessione avviata dagli "illuministi storici" e proseguita dai loro continuatori abbia prodotto qualcosa, cioè dei principi inderogabili. Primo fra tutti quello che è nostro dovere cercare di alleviare le sofferenze delle persone intervenendo con atti concreti. Certo anche diverse religioni si proponevano simili obiettivi; la differenza è che gli illuministi hanno cominciato a pensare di affrontare alcune di quelle situazioni di sofferenza non richiamandosi a particolari dogmi ritenuti assoluti e/o a tradizioni nate in contesti storicamente diverse, ma analizzando il singolo problema e cercando soluzioni razionali, intendo possibili, per esso. Proviamo ad elencarne alcuni: lotta contro le epidemie, la pratica della tortura, lo schiavismo, la pena di morte, la castrazione dei fanciulli per farne voci bianche, il rispetto delle donne e la loro eguaglianza etc. Tre secoli fa ( e in alcuni casi pochi decenni fa) nessuna di queste situazioni di sofferenza era presa seriamente in considerazione. In tutti i casi c’è stata sempre una forte opposizione agli innovatori e talvolta le loro proposte hanno suscitato all’inizio solo grande ilarità.

E’ l’ approccio insieme profondamente umanistico e pragmatico che mi ha sempre affascinato dell’illuminismo. Ma in ognuna di quelle situazioni coloro che vi avevano visto delle sofferenze (dove la stragrande la maggioranza vedeva solo degli eventi normali, inevitabili, naturali, delle sane tradizioni etc..) hanno dovuto lottare con durezza polemica: nessuna di quelle conquiste è venuta da sé e nessuna si mantiene da sé. Certo Voltaire da vecchio può aver avuto qualche caduta di tono nella sua verve polemica; tutti diventando vecchi diveniamo più rigidi, però purtroppo pochi sanno scrivere qualcosa di paragonabile alle "Lettere inglesi", a "Micromega" o al "Candide". Quegli uomini (Voltaire compreso, dai) non sono però stati dei "crociati", dei "fondamentalisti"; sono state delle brave e coraggiose persone che hanno dedicato la loro esistenza al benessere collettivo, che è qualcosa di molto concreto e "misurabile"; qualcosa che c’è e che fa la differenza tra una vita degna di essere vissuta e una indegna.

Certo la lotta per eliminare le sofferenze è infinita, non solo perché siamo mortali, ma anche perché sorgono sempre nuovi tipi di sofferenza. Mi riferisco sia alle sofferenze fisiche (fame malattie etc) che a quelle morali ( non rispetto della persona, del suo corpo, divieto di accesso a beni e tecniche). Il primo caso sembra abbastanza semplice: chi non è a favore di interventi finalizzati a combattere vecchi e nuovi flagelli? In realtà se osserviamo con attenzione le cose spesso sono rese piuttosto complicate da coloro che ritengono di poter affrontare queste situazioni rifacendosi a dottrine rigide. Quando il Papa o Bush [che però ultimamente si è in parte ricreduto] si oppongono di fatto alla diffusione dei preservativi tra le popolazioni dell’Africa subsahariana dove l’epidemia dell’aids ha raggiunto cifre spaventose, adducendo argomentazioni che a loro dire trovano la loro radice nel messaggio di Cristo, che contributo danno alla lotta all’epidemia? Non è lecito opporsi con vigore a queste posizioni? L’abate Galiani diceva: "Io non parteggio per nessuno. Mi oppongo a chi sragiona". Ecco, appunto: chiunque voglia portare il suo contributo ad una soluzione ragionevole del problema è ben accolto, qualunque sia la sua fede, anche se la sua opinione è diversa dalla mia; ma non dobbiamo porre sullo stesso piano chi invece si rifiuta di essere ragionevole in nome di presunti principi assoluti e comunque anacronistici, e per ciò non porta nessun contributo alla soluzione, ma crea solo confusione.

Più complicata la situazione per quel che riguarda le sofferenze "morali", in particolare per quelle che nascono dal divieto di accedere a strumenti e tecniche che possono portare alla soluzione di un problema che crea sofferenza. Se oggi una coppia che non può avere figli in modo "naturale" sa che ci sono delle tecniche che gli possono far superare questo handicap è ovvio che soffre se queste tecniche gli vengono vietate. La maggioranza (forse solo parlamentare) ritiene lecito questo divieto perché in fondo queste coppie possono rinunciare al loro desiderio di generare in modo "innaturale". Non si tratta, come scrivi, di "imporre" la fecondazione eterologa, ma semplicemente di "concederla", così come si concede ad una persona affetta da qualche handicap l’uso di farmaci, tecniche, strumenti (anche legislativi) che gli rendono più semplice e degna la vita. Nulla di più e nulla di meno.

Caro Piero io mi auguro solo una cosa: che qualcun altro intervenga, perché se no facciamo prima a discutere per telefono o su qualche panchina dei giardini.... Ciao, Mauro

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