Data: 14.01.2015

Autore: Adriano Tango

Oggetto: Il male o i mali?

Il male come opposto del bene?
Il male come errore?
Il male come sofferenza fisica o morale o come sua forza effettrice?
Ma esiste "il male" con una sua autonomia concettuale?

Partiamo da una situazione socio-etologica semplice: una mandria di cavalli bradi al pascolo. Fase 1: un tafano morde lo stinco posteriore di un equino. Parte automaticamente un calcione in retrocarica, che casualmente colpisce un altro cavallo alle terga. Fase 2: il secondo reagisce d'istinto alla stessa maniera, e pare tutto finisca lì. Già, se brucando instancabili non si girassero, scoprendo di essere due maschi. Il branco di giumente assiste. La posta: la supremazia riproduttiva, l'onore! Fase 3: si affrontano, volutamente questa volta. Zoccoli anteriori e colpi ben centrati, denti che affondano nel collo, bava, sangue, alti nitriti. Adrenalina, nessuno spazio al dolore. Il più giovane cede, si dilegua con le orecchie basse, il riaffermato capo del branco lo osserva per un attimo. Non riconosce in lui un membro della propria linea germinale collaterale, addirittura la stessa pomellatura del mantello. La manovra di allontanamento del puledro gli appare troppo lenta e irriverente. Fase 4: lo insegue, lo ribalta d'impeto, lo scalcia ripetutamente all'addome e affonda nuovamente i denti. La storia prosegue: il puledro arrancando si allontana. Non soffre delle ferite, ma della sua situazione di esule, espulso dal branco, male morale. Ma da qui può nascere la sua fortuna. Potrebbe incontrare i lupi, essere convertito in cibo, e ci sarebbe sofferenza fisica, perdita della vita, ma tutto secondo l'ordine naturale delle cose, non il Male. Oppure trovare una valle collaterale dove fermarsi, irrobustirsi, attrarre un paio di giovenche, elementi gamma di altre mandrie e dar vita alla sua famiglia.
Il male non in fase 1, l'errore, non il male, in fase 2, il riflesso condizionato, non il male in fase 3, solo il comportamento dettato dal codice genetico. Non nell'eventuale morte del cavallino, attaccato dai lupi, ma in fase 4. nel comportamento ulteriore dello stallone, a scontro già terminato. Ecco il male: perché un cavallo non è un felino, non è un gatto che sevizia un topo come lui insegnato dalla sua genetica. Lo stallone è in errore, si comporta con crudeltà. Tutte le fasi hanno causato del male, prima fisico, poi morale, ma si chiama sofferenza, male patito. Il Male unico e vero è quello che sovverte una regola di natura. Perché continuiamo a fare del male? Per profitto? No, quello è il tafano, l'occasione. Perché frammenti del nostro codice comportamentale sono lasciati liberi di attivarsi per futilità, e quando una funzione si riattiva, sia quella del cammino sotto forma di passeggiata al sole come le più atroci pulsioni, la natura ci ricompensa con l'unica moneta che possiede: il piacere. È una meccanica da conoscere e riconoscere dalle prime fasi. Per fortuna possiamo lavorare nel seppellire questi pulsanti d'azione sotto strati di divieti collettivi e tabù individuali, sempre più spessi, lavorare sul'epigenetica, come hanno fatto da millenni i cinofili (per fortuna non sulla selezione). Anche il più mansueto dei cani, come risaputo, ha il suo pulsante accessibile da qualche parte, ma bisogna che il meccanismo sia così obsoleto da essere rugginoso, inceppato, o necessitante di una manovra specifica per riattivarsi, una manovra abbastanza complessa da richiedere ragionamento e ponderazione. Come si fa? Come i vigili del fuoco, continui spazi disboscati tagliafiamme, un sacrifico di piante per salvare il bosco, lavorando perché non succeda più, anno dopo anno, con l'opposizione di forza contro forza se necessario, ma nel continuo ricordo del rischio della perdita di controllo, perché la collettività è amplificazione. Magari, nella fattispecie dell'esempio, l'interposizione di un cavallo santo cui fosse toccata una zoccolata al posto di uno dei contendenti, avrebbe bloccato la rissa, ma solo al suo insorgere, o poco dopo. Già, il bene non contrario del male, né il buio contrario della luce, ma zero luce, il freddo non contrario del caldo, ma zero assoluto / nessun calore, e il bene spugna assorbente del male, la prosciugazione e presa in carico della sofferenza altrui come unico antidoto, un lenitivo che poi si attiva gradatamente ponendosi in gioco come vaccino, catalizzatore che dal piccolo fatto locale può invertire il segno della reazione generale. Può, e solo a volte, ma quelle volte contano, perché segnano il tempo. Perché nella fase 4 non c'è più alcun santo o autorità che possa intervenire, il processo può spegnersi solo per esaurimento della massa comburente. E non parlo solo di violenza, ma di tutti i tipi di mali: quello fisico, quello morale, della mortificazione individuale e etnica, dell'individuazione arbitraria dell'opposto nel tentativo di esorcizzare la nostra quota di diversità, del nemico nel nostro stesso ambito di confini, quello della riduzione all'inedia, ingegnerizzata, ai danni di grandi masse di popolazione, attuata dalla nostra plaudita scienza economica neolibertaria. Fenomeni da lavorare ai fianchi, per fiaccarli, vista l'impossibilità dello scontro frontale, in quanto generatori e motori innescati dalla nostra stessa struttura vitale umana, per quanto razionalmente osteggiati.

E per concludere, alla gentile dottoressa Chiara Crespiatico, con la quale, nella serata del 12-1, avrei potuto anche essere più condiscendente e meno categorico nel mio giudizio di "trattamento di aspetti marginali del tema", e soprattutto come contrappeso mettere in rilievo l'ottima preparazione e regia dell'evento, le mie scuse per un giudizio di insoddisfazione affrettato. Ho impiegato poco tempo mordicchiato da altri impegni a stendere queste note, ma una scorsa al tema, brutalmente via internet, l'ho data, anche se poi non ho fatto alcun uso di citazioni, come mio solito. Stupore! Un grosso canale di comunicazione parte dalla sua stessa premessa, prosegue per via Giobbe… Adesso non mi denunci con l'accusa di calunnia di plagio! Voglio solo dire che mi sbaglio io, altri e quotati espositori hanno lo stesso suo approccio, e forse non ho dato il giusto peso alle sue citazioni. Forse solo io cerco di evitare la confusione fra la sofferenza e il male, aspetto privato o collettivo ma comunque passivo contro quello attivo. Quindi attenti agli errori, non alle intenzioni, ricordatevi della vostra mappa comportamentale nascosta, attenti ai pulsanti giusti, e non inducete anche gli altri in errore. A proposito, sono partito da tre dubbi su alcuni connotati del male, e spero di essere stato chiaro, e una domanda secca. La risposta al quarto quesito è no: preferirei parlare di attivazione comportamentale negativa e autoalimentante, con evidente possibilità di epilogo nell'atrocità. Ma la cosa sconvolgente è che dopo tutti i miei criteri di esclusione il fenomeno, questo comportamento variegatamente crudele, cinicamente insensibile, incapace di retromarcia e scatenato da una pulsione all'appagamento personale incommensurabile alla devastazione prodotta, è solo umano purtroppo.

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