Data: 19.03.2016

Autore: Livio Cadè

Oggetto: R: Aut Aut

Caro Luca, nel risponderti molto brevemente voglio prescindere da ogni considerazione sulla validità terapeutica della nostra medicina e sulla validità delle sue metodologie. Sai che su questi aspetti io sono fortemente critico.
Tuttavia, anche ammessa questa duplice validità, io continuerei a negare ogni liceità alla tortura come strumento di indagine. Se non ti piace il termine ‘tortura’ si può dire che queste pratiche rappresentino per gli animali un supplizio, un calvario, comunque sofferenze atroci – e quella R che sta per ‘ridurre le sofferenze’ è pura ipocrisia.
Non credo d’altro canto che si debba rinunciare alle conquiste della medicina (parlo di quelle veramente necessarie al benessere umano, non certo di quelle utili solo all’industria farmaceutica) solo perché sono state ottenute con la crudeltà.
Dovrei in tal caso rifiutare in blocco una civiltà che si è sviluppata sulle guerre, le rivoluzioni, i massacri e le torture.
Quello che ritengo necessario è un cambiamento di paradigmi, che certo non può avere effetti retroattivi ma solo, si auspica, effetti futuri.
Cerco di svincolarmi dall’angustia di ragionamenti utilitaristici.
È plausibile che anche la tortura come strumento di indagine giudiziaria, per motivi di sicurezza pubblica, possa produrre importanti benefici per la società. Questo non cambia il mio rifiuto etico della tortura, qualunque ne sia lo scopo.
L’esempio del cane e dell’uomo (chi salvereste?) mi sembra retorico. Se io ponessi questa tragica e ineludibile alternativa tra un bambino sano e un vecchio malato chi sceglieremmo?
In ogni caso, nella questione animale, si tratta di uccisioni e torture deliberate, di un’un ecatombe sistematica, metodica e automatizzata, compiuta a mente fredda. Non si tratta di decidere istintivamente di fronte a un’opzione imprevista e drammatica.
Quindi, anche se con la vivisezione io supponessi (non lo posso sapere a priori) di ottenere dei risultati utili per la mia specie, i mezzi che uso per raggiungere quegli ipotetici fini me la rendono moralmente inaccettabile.
Più spazio meriterebbe l’argomento metafisico. In sintesi posso confermare la mia indisponibilità a tracciare una separazione ontologica fra l’animale umani e gli altri animali.
La concezione antropocentrica, come quella geocentrica, deve lasciare il posto a una concezione di infiniti centri in un cerchio infinito.
Le ragioni che stabiliscono la supremazia di una specie sono per me di natura fisica e mentale, non ontologica. E le ragioni con cui si cerca di giustificare razionalmente questa sopraffazione sono puramente opportunistiche.
Non vedo perché questa mia idea debba sembrare incompatibile con una visione metafisica dell’esistenza.

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