Prendo ulteriormente spunto dalla stupenda relazione del Prof. Trogu e dai successivi interventi per rimarcare un concetto che mi sta a cuore, prendendomi qualche libertà espositiva ed espressiva.
E’ emerso chiaramente che l’uomo occidentale contemporaneo, nel produrre oggetti tecnologici figli di un razionalismo strumentale, lungi dall’essere capace di dominarli conservando il dominio di se stesso finisce per esserne vittima. Se non fosse per la vaga assuefazione a cui molti ormai paiono condannati, sarebbero abbastanza chiari i casi di bisogni indotti creati da tanti beni materiali che non esistevano fino a poco tempo fa (vivendo comunque “felici”), e che oggi appaiono sostanzialmente irrinunciabili (a questo meccanismo di induzione di bisogni pseudo-necessari era già arrivato Alexis de Tocqueville nei suoi scritti sul pauperismo – molto prima dell’esplosione tecnologica di massa). Gli oggetti non sono “inerti”, quindi, ed anzi mutano la stessa struttura psichica di chi li usa. Da questo molti deducono l’incapacità, da parte dei consumatori, di riscoprire la dicotomia essere-avere, privilegiando purtroppo il secondo termine, producendo generazioni di giovani cellulare-dipendenti che leggono Nino Bixio come Nino Biperio (leggasi recente esilarante articolo del Corriere della Sera). Fin qui trattasi forse di facezie, ma quando l’attenzione si sposta su argomenti drammatici come l’apocalisse ambientale prossima ventura ecco che gli effetti non intenzionali dell’utilizzo della ragione scientifica per fini tecnologici finiscono sotto accuse generalizzate e generalizzanti. La tecnologia sarebbe male per i più svariati motivi, da quelli potenzialmente condivisibili a quelli che si distinguono solo per la mancanza di senso del ridicolo di chi li sostiene. Gli esempi riguardanti l’utilizzo di risorse “sporche” per soddisfare le necessità energetiche sono ovvi. Per riferirsi all’elettronica di consumo, certi aggeggi paiono essere diventati dei prolungamenti degli arti, mentre il PC è un surrogato del cervello; ma tutto questo non è affatto inevitabile. Io contesto la presunta ineluttabilità della schiavitù indotta dall’utilizzo di oggetti vagamente disumanizzati dai quali siamo circondati, quasi come se questi fossero i veri padroni della nostra vita, e da qui a ritroso fino ad inveire contro l’impostazione intellettuale che li produce – la ragione scientifica “sillogistica” (per inciso, mi permetto di criticare l’uso di questo inadeguato aggettivo: se l’Occidente fosse rimasto fermo al sillogismo l’evoluzione tecnologica sarebbe parimenti rimasta immobile, almeno se si prende l’aggettivo medesimo nel senso tecnico). Qui si stanno dimenticando le più importanti facoltà dell’uomo, quelle che precedono anche la “precondizione” rappresentata dalla stessa ragione meccanica, che precedono pure le altre forme di conoscenza rappresentate dalla letteratura, dalla poesia o dall’arte: la libertà e la responsabilità. Io dico, tornando sulla Terra: ridicolo è l’uomo che si scaglia contro gli oggetti che produce per semplificarsi la vita! A monte di qualunque dipendenza psicologica da tecnologia c’è e deve restare la consapevolezza dell’utilizzo che se ne fa, e a nulla deve valere la protesta contro chi o cosa ci avrebbe forzati a fare un uso demenziale o parossistico di strumenti concepiti per scopi altri. Che ne è della responsabilità? Posso davvero sperare di cavarmela facendo le crociate contro il telefonino che disturba invadente nei luoghi pubblici? E’ chiaro che il problema non è il telefonino – che resta un’invenzione straordinaria – ma il cafone maleducato. Un certo qualunquismo incolpa la “società consumistica” di tutti i mali, lavandosi la coscienza individuale ignara del fatto che la società siamo io, te, lui, “doverosamente liberi” (felice ossimoro) di fare una pernacchia al nuovissimo palmare ultraleggero che sbatte anche le uova insegnando ai figli che probabilmente certi trabiccoli non servono a niente, nonostante il martellamento mediatico. Mille altri esempi, molto più cogenti, potrebbero essere esposti.
Immagino di alzarmi dal suolo, entrare in orbita ed osservare l’umanità con occhio distaccato, entro una cornice temporale di lungo periodo: la vedo avanzare ipotesi e metterle alla prova, imparare da questi controlli e concepire artefatti che si fondano su quanto si è capito da quelle indagini, per essere poi incapace di farne un uso accorto, come se l’audacia delle proprie scoperte e invenzioni – frutto della volontà di conoscere e controllare le forze della natura che da sempre la schiacciano – sia tremendamente in anticipo sulla capacità di padroneggiarle e contenerle con matura consapevolezza. Quasi un residuo di infantile irresponsabilità, un tirare il sasso e ritrarre la mano, l’inadeguatezza a reggere il peso di un effetto stressante che la civiltà induce mentre progredisce, rischiando ad ogni passo di precipitare di nuovo in vecchi arcaismi, come molto pertinentemente uno degli ultimi interventi ha sottolineato: stiamo attenti a non confondere un sano senso del mistico con la “riscoperta” di vecchie ideologie irrazionali sature di menzogna e violenza, che già provocarono guerre mondiali ed un’altra potrebbero provocare a breve, con mezzo mondo che mette la testa nella sabbia.
Sotto questa luce il discorso del Prof. Trogu emerge in tutta la sua validità: c’è ben altro che il mero esercizio di una tecnica intellettuale / empirica fatta di logica, esperimento, ipotesi, teorie (teorie come reti: solo chi le butta può poi sperare di pescare pesci sostanziosi e non buchi nell’acqua, riprendendo un aforisma di Novalis – la ragione tecnologica è fatta anche di rischi, tentativi ed errori, insuccessi). C’è anche responsabilità, coscienza dei propri limiti, inesistenza di scorciatoie pseudo-razionali che non fanno altro che irreggimentare le masse, e l’accettazione di una accezione allargata di ragione consapevole della propria impossibile autofondazione. Scelgo di essere razionale perché voglio trovare, con metodi condivisi e pacifici, mezzi che tutelino la vita di tutti e ne migliorino la condizione, isolando coloro i quali pretendono di possedere la Verità ed imporla agli altri, la cui scelta potrebbe essere altrettanto coerente, ma è certamente destinata a mancare per sempre i due obiettivi di cui sopra (penso a qualcosa del genere quando penso alla parola democrazia, e non a cose come “governo del popolo” o “volontà generale”, che non significano niente). Questo è ciò che intendo per atteggiamento razionale, principalmente radicato in una scelta fondamentale di carattere etico, la cui componente strettamente logico / matematica / ingegneristica non è che una parte - anche se largamente più nobile di quanto taluni pensatori vorrebbero farci credere. Qualunque idea crea effetti non previsti, conseguenze non intenzionali; ciò è dovuto primariamente al fatto che la mente umana non domina la realtà come un tutto e non la può controllare olisticamente come tale – il che sarebbe la vera assurda volontà di potenza - ; la critica di suddette conseguenze è un dovere, ma è un errore distruggere l’impianto intellettuale generale, semplicemente perché – ecco la mia convinzione, parzialmente in antitesi con altre concezioni della ragione – non abbiamo alternative credibilmente percorribili. Abbiamo scoperto che l’economia al petrolio non è veramente sostenibile? Non lo potevamo prevedere quando il primo pozzo cominciò ad essere sfruttato; ora lo sappiamo, nel frattempo altre tecnologie si sono fatte strada grazie alla vituperata ragione “sillogistica” e noi possiamo potenzialmente continuare a vivere nelle nostre case, muoverci da esse, sfamare gli abitanti del pianeta senza annientarlo (con molto altro lavoro ancora e sempre da fare). In queste dichiarazioni non c’è niente di romantico: noi siamo più che in grado di sfamare l’umanità, ed il problema è stato risolto dalla tecnica, non dall’economia, dalla politica o dalla filosofia. Il dato di fatto circa la fame drammatica patita da una quota ancora vergognosa di esseri umani è da imputare a politiche demenziali e criminali, cioè all’irresponsabilità umana, non al transistor o al motore a scoppio: guardiamo alla realtà senza paraocchi ideologici e stereotipi politically correct nell’osservare regimi corrotti e dittatoriali che affamano i propri popoli mantenendoli in condizioni culturali medievali, prima ancora che in indigenza materiale (detto per inciso, a mio modo di vedere le idee sono molto più importanti delle condizioni materiali, e l’influenza delle prime sulle seconde è largamente superiore alla relazione inversa, con buona pace di Marx). Noi sbraitiamo contro le automobili che inquinano e le sette sorelle che le muovono, per metterci al volante anche per percorrere due isolati; dibattiamo sulla cattiva maestra televisione ma è sempre accesa; ci lasciamo tiranneggiare dal telefono cellulare e si vedono adulti che si divertono a fare gli “squillini” all’amico come adolescenti; più profondamente: creiamo una strepitosa tecnologia che fornisce a costo ridottissimo un’inesauribile fonte di informazione (Internet) e l’uomo la satura con apologie dell’odio e tonnellate di pornografia: vogliamo protestare contro il mezzo o contro chi ne abusa?
Data: 22.06.2013