Data: 01.07.2013

Autore: Tiziano Guerini

Oggetto: LINGUAGGIO ED ESSERE

1) La filosofia consiste nella presunzione di dire ciò che si riferisce a tutte le cose; oppure a tutte le cose “di uno stesso genere” (trascendentalità) nel loro riferirsi alla totalità. Tutto il resto è fede o scienza – quindi essenzialità esistenziale - ma non filosofia.

2) E fin dall’inizio la filosofia ha individuato nel “divenire” appunto ciò che tutte le cose hanno in comune. Il divenire è l’indubitabile evidenza: non così evidente è però – diciamolo subito - la definizione che fin dall’inizio ne ha dato la filosofia greca:” tutte le cose nascono dal nulla e sono destinate al nulla! Prima di essere non sono, e dopo non sono più.”

3) Già qui il linguaggio ha mostrato la propria funzione pratica: quella di chiamare le cose secondo il segno della flessibilità o secondo il segno dell’inflessibile: le cose, cioè, dominabili dall’uomo, oppure le altre cose che a tale dominio (provvisoriamente) si oppongono.

4) Ma tutta la storia della filosofia può essere vista come un percorso che da ultimo approda al linguaggio:

a) la prima fase – che potremmo chiamare realistica – presenta l’oggetto (diveniente) come un termine esterno al pensiero (alienazione del soggetto nell’oggetto). La contraddittorietà consiste nel “pensare” qualcosa che pur si intende come esterno al pensiero!! A questa fase corrisponde l’affermazione di una realtà immutabile al di fuori della realtà diveniente: il relativo non è contraddittorio perché esiste un assoluto che lo giustifica.

b) La seconda fase o fase idealistica: la sede del divenire non è nelle cose (l’oggettività) ma è nel Pensiero (Soggetto creatore): il divenire presupposto al pensiero è contraddittorio e quindi inesistente, il divenire sta invece dentro la Soggettività creatrice della realtà. Tutto ciò che esiste, esiste necessariamente nel Pensiero che nella sua Attualità vive il divenire. Si costituisce così un nuovo Immutabile all’interno del divenire: ma daccapo – e contraddittoriamente - si sottrae al divenire del pensiero, il pensiero del divenire.

c) Si perviene così alla terza fase, quella appunto del linguaggio che si costituisce in opposizione alla filosofia della coscienza (anti-idealismo): il linguaggio viene considerato come la (vera e definitiva ?) sede autentica del divenire: questo libera il senso greco del divenire ( nichilismo) da ciò che lo rende impossibile sia realisticamente che idealisticamente. Il linguaggio è propriamente la traduzione del pensiero che non vuole costituirsi in un immutabile (né all’esterno, né ) all’interno del divenire: la sede del divenire col linguaggio trova la propria espressione più fluida e labile, cioè precaria (il linguaggio non si costituisce in una teoria) e in questo modo trova la propria massima adeguazione (individualmente soggettiva) al divenire.

Il linguaggio diventa ipotesi, moda, fede, scienza…Il linguaggio così, non esprime la comprensione del senso dell’essere – cioè la comprensione veritativa della realtà –in cui pur si muove ( dal momento che anche il linguaggio appartiene all’essere).

MA… CHE NE SAREBBE DI TUTTO CIO’ SE SI OSASSE METTERE IN DISCUSSIONE LA DEFINIZIONE MAI INTACCATA DEL DIVENIRE COME PASSAGGIO DAL NULLA ALL’ESSERE E DALL’ESSERE AL NULLA ?

Se il “divenire” cominciasse ad essere inteso al di fuori dell’interpretazione nihilistica, come “apparire e scomparire” delle cose, non come il loro nascere e il loro morire!

Allora il linguaggio diventerebbe l’esplicitazione del senso ontologico in cui si muove: il linguaggio come comprensione del senso dell’essere.

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