Data: 01.07.2013

Autore: Marco Ermentini

Oggetto: La lingua in salmì o la ritirata della parola

Il pensare deve ascoltare il linguaggio. Il nostro linguaggio ci ha messo a disposizione una memorizzazione del pensiero accumulata attraverso secoli e millenni. Nella storia delle parole è scritta la reale storia della nostra umanità. Bisogna ascoltare le parole. La lingua offre una specie di compendio in cui si trova abbozzata la soluzione dei problemi della vita.

Tuttavia, caro lettore, noi ci accorgiamo che c’è qualcosa che non va, che qualche cosa si è rotto, forse l’ “animale linguistico” che siamo stati sin dai tempi dell’antica Grecia, sta subendo una mutazione come la pecora Dolly. Mi sembra che i recenti sviluppi

della tecnica, poiché essa coinvolge necessariamente la metafisica, stiano provocando una svolta. E che svolta!

Già Shakespeare nel “Timone di Atene” ordina “language end”, che finisca il linguaggio.

Da qui inizia la sfiducia elementare nelle parole. Così in “ Lettera a Lord Chandos” di Hoftmannsthal:” le parole nuotavano intorno a me, si trasformavano in occhi che mi fissavano e che dovevo fissare a mia volta “. Così Karl Kraus e la sua critica del linguaggio e dei media che riducono a merce tutta l’arte e tutto il pensiero. Così il primo Wittgenstein per il quale “ ciò su cui dobbiamo tacere “ comprende in realtà tutto ciò che conta di più.

Da tempo si notano movimenti verso un agnosticismo del silenzio. Questo silenzio, per dirla con Andrea Bortolon, reintegrerebbe l’uomo alla natura, essa stessa silenziosa. Nella nostra vita rumorosa la calma e l’isolamento diventano privilegi dei ricchi o dei condannati. Come una cicala impazzita il nostro cellulare divora ciò che resta del silenzio. Così il silenzio è divenuto raro, anzi sospetto e pericoloso.

Gia nell’800 le invenzioni tecniche come la fotografia e le possibilità illimitate di produrre immagini, avevano cominciato a rosicchiare la cittadella del discorso. Oggi la parola diviene sempre più didascalia dell’immagine. C’è il rischio che il linguaggio, nella nostra postmodernità liquida, non sia più in grado di riflettere né di esprimere l’esperienza umana. La sua corruzione è avvenuta anche da parte della menzogna politica e della volgarità del consumo di massa. Infine l’animale linguistico è stato annichilito nell’antilinguaggio della morte e della distruzione nei lager.

A questo punto mi chiedo e ti chiedo:

forse siamo di fronte ad un divorzio fra umanità e linguaggio ? fra ragione e sintassi, fra dialogo e speranza? Forse il nostro altalenare fra i due termini non si placa neanche con il gioco che ci suggerisce Andrea Bortolon ?

Forse il tempo del dopo-parola è già iniziato e noi non ce ne siamo accorti ?

Marco Ermentini



N.B. un grazie a Andrea Bortolon per i preziosi suggerimenti.
Cfr. A.Bortolon, Lezioni di filosofia morale, Skira 2003. Prossimamente al caffè filosofico( 12/1/2004)

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