CARLO MARIA MARTINI: UN UOMO DI DIO - RELATORI: GIOVANNI BASSI, TIZIANO GUERINI, MONSIGNOR FRANCO MANENTI

10.06.2013 21:00

Il cardinal Carlo Maria Martini è stato una delle figure più eminenti della Chiesa; studioso di livello internazionale della Sacra Scrittura, arcivescovo di Milano per oltre 20 anni, ispiratore delle posizioni cattoliche più avanzate sul piano dottrinario e pastorale. Il Caffè Filosofico è lieto di presentare un filmato sull’importanza della sua figura, con interessanti e inedite interviste da parte di chi lo ha conosciuto personalmente. Il documento è stato realizzato per il festival della filosofia “Crema del Pensiero” - edizione 2013 a lui dedicata a un anno dalla morte.

Introduzione di Giovanni Bassi e Tiziano Guerini che del filmato hanno curato il testo e la realizzazione. Commento finale di Mons. Francesco Manenti Vicario Generale della Diocesi di Crema.

Dibattito

Data: 17.09.2013

Autore: Roberto Provana

Oggetto: QUALE COSCIENZA ALLENARE?

Una delle affermazioni più significative del compianto Cardinale Enrico Maria Martini, è stata la seguente: "La coscienza è un muscolo che va allenato".
Confesso di non aver approfondito il contesto entro il quale si inscrive questa frase, comunque dotata anche da sola, di una sua forza e ispirazione. Strizza la riflessione e insinua domande. È curiosa.
Può diventare il pretesto per ulteriori riflessioni.
Se si deve fare ginnastica, ci dovrebbero essere delle palestre, degli istruttori e degli strumenti atti a sviluppare questa "benedetta" coscienza. Ma di quale coscienza si tratta?
È una qualità psicologica o morale?
È legata all’essere o al modo di essere, al sé o al comportamento, all’ "io sono" o a come devo agire, sentire? Si rifà all'etica o all'esistere?
Appartiene al dominio della qualità dei sentimenti, della sensibilità sociale, oppure ad una dimensione inerente l'intensità percettiva che l'individuo, l'essere, ha di se stesso?
Appartiene al mondo che è regolato dal senso di giustizia, dalla obbedienza ad una fede, oppure ad una sfera psicologica, di "sapere" esistenziale?
La coscienza ha bisogno di una guida o autorità morale per esistere?
Di quale morale si sta parlando?
Morale cristiana Ortodossa o Riformata ?
La morale cattolica è solo una delle tante esistenti e possibili.
Oppure si intende una morale musulmana, buddista, shintoista, induista, animista, laica, etc.?
Scopo della religione è educare alla coscienza morale o alla piena consapevolezza di sè senza vincoli imposti dall'esterno ?
La coscienza-consapevolezza non può scoprire ed osservare da sè i principi etici ai quali aderire con un senso di responsabilità individuale?
Ha bisogno per sempre di un tutore, un pastore, una guida?
Oppure la guida è più interna, la voce è più silenziosa dei proclami e degli editti religiosi?

Esercitare la morale non equivale automaticamente alla ginnastica dell'essere, della consapevolezza, della coscienza di esistere.
La consapevolezza di esistere (indipendente da qualsiasi morale), può fiorire senza la necessità di alcuna coloritura etica, essendo esperienza dell’essere, identità, sapere di essere al mondo.
Anche il Cardinale Martini, come del resto universalmente nella Chiesa cattolica, probabilmente intendeva “coscienza” quale attributo, facoltà morale e non come semplice “consapevolezza”, altrimenti si dovrebbe rispettare la scelta della piena responsabilità individuale.
Nell'ambito religioso, la coscienza è concepita quale "attributo" morale.
Non la coscienza intesa come “essere consci di se stessi”, ma “consci del lecito", del dovere, di ciò che è "bene o male”.
Ma può venire prima la "morale" (o l’etica) della "auto-coscienza"?
E' possibile che la “coscienza morale” possa nascere da “altro” della coscienza individuale?
E se nasce dalla coscienza individuale come può dipendere da una entità esterna che la sanzioni, la vuole irregimentare, guidare, "illuminare", asservire ad una dottrina?
Questa dipendenza si verifica perché in genere le fedi religiose non si fidano della autonomia di coscienza dell'individuo.
Chiedono un atto di fede, senza però fidarsi dell’autonomia personale, che pure a volte invocano a gran nome per far fronte ai condizionamenti esercitati indubbiamente dal mondo dei consumi e dal capitalismo selvaggio.
La chiesa "non la dà", non concede la libertà di coscienza.
Questa fiducia non viene riconosciuta, non viene concessa l’autonomia necessaria per regolare il proprio rapporto con il divino.
Non viene accettato il principio di responsabilità individuale, spesso confuso e condannato come forma di relativismo.
Da una parte il clero si lamenta di avere a che fare con fedeli dalla fede infantile, dall’altra li veste con brache a mezzagamba e sottane per le bambole.
Se intendesse "coscienza" nel senso della consapevolezza, la chiesa cattolica si affiderebbe al senso di responsabilità individuale nelle scelte di ordine civile, morale, etico e religioso.
Certo, proclamerebbe i suoi ammonimenti, diffonderebbe consigli e annuncerebbe le sue indicazioni, ma varrebbero come tali: orientamenti appunto, non vincoli, non obblighi, non dogmi o condizioni essenziali per “essere dentro o fuori” la "comunità dei credenti". Ma può permettersi tanto, l'Istituzione religiosa? Probabilmente no.
D'altra parte, non si può fare “ginnastica della coscienza” se la dottrina incatena la libertà di scelta, anche dell’errore eventuale, ad un canone prestabilito, ad un giudizio morale che tiene in ostaggio la libertà di esperienza.
Una coscienza così diventa rachitica, debole, dipendente da entità esterne.
Forse è proprio questo che si vuole.
Che le coscienze siano sempiternamente dipendenti da un magistero, da una autorità auto-referenziante.
Papa Giovanni Paolo II diceva, a ragione, che la Chiesa non è una democrazia.
Certo, ma allora perché invocare la libertà di coscienza se poi questa stessa coscienza deve essere condannata, ammonita, inquadrata in un ordine di condotta morale?
E’ una delle contraddizioni più evidenti dell’Istituzione religiosa, che vuole fedeli maturi, liberi, ma nello stesso tempo obbedienti, osservanti, intruppati in un gregge.
La Chiesa può essere una palestra morale, della morale religiosa cattolica, non una palestra della coscienza intesa come esercizio costante della consapevolezza e della conseguente autonomia di giudizio.
Può essere fonte di richiamo morale, non di indipendenza.
La "questione religiosa" (ma sarebbe meglio chiamarla spirituale) non riguarda più il conflitto inter-religioso, il dominio (sulla base di una pretesa superiore verità, rivelazione o annunciazione) di una fede su un'altra, ma tra le forme di conoscenza che promuovono libertà e sviluppo della coscienza e quelle che intendono assoggettarla o frenarla, se non circuirla e illuderla, fiaccandone gli impulsi più sinceri, spontanei e genuini.
Eppure l'importanza del puro "Io Sono", della propria coscienza di essere, è centrale in tutte le Scritture e le Confessioni.
La Bibbia, se non la si interpreta in chiave teologica, esegetica, dottrinale ma semplicemente psicologica, contiene dei richiami alla "coscienza" intesa come "presenza".
Dio appare come "onnipresente", ma non solo nel senso della ubiquità, quanto della "presenza di sè", là dove nell'episodio della Lotta dell'Angelo con Giacobbe, il divino definisce se stesso "Colui che è". "Io sono Colui che sono", è un invito a richiamare a se stessi ciò che si è.
Diverse discipline, prima ancora della rivelazione biblica, hanno fatto di questo "Io Sono" il loro leit-motiv, la base per la ricerca di una continuità di coscienza o consapevolezza dell'essere, di esistere, di percepire non solo il mondo ma anche l'interiorità, non assoggettabile ad una formula comportamentale o espressiva prefabbricata, uniformante, standard.
Ricordare se stessi in ogni istante è una esperienza che alcune Scuole di Consapevolezza conoscono bene e in parte tale sapere è stato filtrato anche dalle pratiche mistiche e spirituali di tutte le fedi religiose, le quali tuttavia privilegiano l'aspetto morale, anzi moralistico rispetto a quello tecnico-operativo, realizzativo.

Oggi la coscienza è studiata dai neurofisiologi e dai biopsicologi con strumenti sofisticati, come osservatori esterni e nella migliore delle ipotesi è identificata con il cervello. Ma il cervello è il prodotto di una coscienza-forza che si manifesta nella Natura o la coscienza è il prodotto del cervello?
E anche quando si studia la propria coscienza, l'osservazione non è invalidata o alterata dal fatto che si tratta di un Osservatore che studia se stesso, dalla sua osservazione? Non si tratta di una coscienza che studia la coscienza?
Ma vi è un'altra questione: le religioni possiedono un corpus, una disciplina o insieme di pratiche tecniche-operative, per sviluppare questa coscienza di sè?
Esiste una conoscenza capace di svilupparla, la consapevolezza?
La coscienza (consapevolezza di sè, quindi anche dei propri limiti ma anche luogo di potenzialità da esplorare) può diventare un fattore per l'accelerazione e propulsione evolutiva. Non la morale.
La coscienza, l'esercizio di ampliamento della consapevolezza può interferire positivamente con lo stato emotivo, quindi con la biologia, con la genetica?
Ecco cosa stanno studiando la psicobiologia, la neurofisiologia.
Si tratterà di vedere se si riuscirà a conoscere la coscienza come descrizione (scientifica o umanistica, filosofica), attraverso l'analisi della sua fenomenologia, delle caratteristiche, etc.
Oppure, cosa più essenziale, sarà utile verificare se la coscienza di sè, ovvero di una consapevolezza espansa dell'Essere, si può allenare, e attraverso quali percorsi.
Anche se il racconto di queste "esperienze di ginnastica della coscienza" avrà il valore di una testimonianza che non potrà pretendere la fede altrui o di assumersi un obiettivo missionario, perché la lettura di una esperienza che non ci appartiene, la descrizione di un viaggio fatto da altri, non sostituisce la necessità del cammino fatto da se stessi.

Data: 19.06.2013

Autore: Ermanna Bellandi

Oggetto: Alcune impressioni

Innanzitutto devo dire che ne sono rimasta molto contenta.
Era la prima volta che partecipavo e mi sono trovata bene dentro quel bozzetto di società, che riunita anche in un ambiente che raccoglie, era tesa e interessata a scoprire maggiormente la grande figura del Cardinal Martini.
Il mio plauso personale quindi a tutte quelle persone che con professionalità hanno saputo realizzare l’evento di ieri sera.
Dicevo quindi, persone riunite per riscoprire maggiormente la figura del Cardinal Martini che sappiamo essere stato anche incompreso, a tanti livelli, nel suo modo di agire.
Quello che io ho compreso del Cardinal Martini e che mi è stato confermato anche ieri sera, è che innanzitutto Martini è stato un uomo di Dio. Un cardinale che ha posposto il suo essere, sacerdote, vescovo e cardinale per avere sempre e solo Dio al primo posto.
Esprimendomi quindi sulla figura del cardinale, non lo chiamerò né sacerdote, né vescovo né cardinale, lo chiamerò semplicemente Martini, uomo di Dio. Perché come uomo di Dio ha vissuto, testimoniandone l’Amore.
Guardando Martini si comprende che la vocazione sacerdotale in questi tempi è ancora di attualità e che questa donazione non ha certo subito l’usura del tempo.
Martini ha testimoniato con la vita la grande domanda che oggi la chiesa, attraverso il Concilio, domanda: una visione universale delle cose.
Martini, secondo me, seguendo l’azione dello Spirito Santo si è caratterizzato in una grande apertura su tutte le realtà dell’umanità. Il dialogo è stato la sua forza. Questo benedetto dialogo di cui tutti oggi parlano ma che, secondo me, ancora non capendone la portata. Guardando Martini però capiamo. Il suo dialogo è stato mettersi sempre per ultimo per far emergere il pensiero dell’altro quasi a penetrargli nella pelle. Si è fatto così vicino all’altro quasi a diventare lui stesso l’altro, per capire le sue emozioni, i suoi pensieri, le sue problematiche e perché no, riuscire a capire parte della Verità nell’altro, perché la Verità è disseminata in tutti. Troppo interessante, avvincente. Martini si è fatto “nulla” perdendo, mi sembra, quasi il suo sapere per capire maggiormente il pensiero dell’altro. Stupendo questo modo di agire. E’ l’agire di Dio, di Gesù che si è lasciato spogliare di tutto affinchè noi avessimo tutto.
Questa forma di dialogo, non facile perché richiede la morte del proprio io, è ardua ma non impossibile da realizzare a tutti i livelli, da credenti e non credenti, da tutti. Basta capirne la portata! Si potrebbe scatenare una positiva rivoluzione sociale, una rivoluzione, per me, evangelica.

Un altro momento interessante sono state le domande rivolte a don Franco, fortunatamente presente come sacerdote e quindi rappresentante della chiesa.
Mi è sembrato di cogliere dai partecipanti una ricerca, una richiesta a una chiesa più aperta, più dialogante, permettetemi, più testimone. Certo è che se il sacerdote annuncia l’Amore di Dio spera anche di trovare i cuori delle persone predisposti ad accoglierne il messaggio. Il popolo di Dio non sono solo i sacerdoti, vescovi o cardinali, ma lo siamo tutti insieme, ognuno dentro la propria vocazione. Insomma ho colto l’esigenza, tra molti, di incontrare la fede, la testimonianza.
Ed è questa, mi pare, la nuova evangelizzazione che Dio vuole soprattutto oggi, un tempo in cui il mondo – per citare – Paolo VI – non ha bisogno tanto di maestri quanto di testimoni; chi più testimonia, insomma, che il Suo Regno è già in mezzo a noi grazie all’amore scambievole che, dono dello Spirito Santo, ci permette di rendere presenti fra gli uomini la vita stessa della Trinità.
Per ritornare a Martini io penso lui sia stato il sacerdote come Gesù l’ha pensato e come la chiesa, guidata dallo Spirito Santo lungo due millenni, l’ha sempre pensato. Martini è stato un cambiamento epocale di mentalità e di aspirazioni.
Io credo che non solo i sacerdoti debbano guardare a Martini come esempio da imitare, ma anche noi laici.
E’ ovvio comunque che il dialogo fondamentale al quale è chiamato il sacerdote non può non essere quello con il sacerdote per eccellenza, che compì la sua suprema offerta sul legno della croce, nell’abbandono.
La Pastores dabo vobis (n. 30) va ancora oltre ed afferma: "Il sacerdote deve avere gli "stessi sentimenti" di Gesù, spogliandosi del proprio "io", per trovare... la via maestra dell’unione con Dio e dell’unità con i fratelli. Per lasciare che Cristo viva pienamente in loro i sacerdoti sono chiamati dunque a conformarsi attimo per attimo a Gesù crocifisso, nel totale annientamento di loro stessi per amore degli altri.
Martini ha vissuto tutto questo.
Cosa mi porto via dall’incontro di ieri sera? Guardando a Martini direi, un esempio da imitare soprattutto in quel suo essere ascolto, che non è da confondersi con il sentimentalismo, ma come Amore concreto verso ogni prossimo.

Validissimi sono questi incontri che lasciano un “qualcosa nel cuore” un “qualcosa per cui spendersi”, come quello di ieri sera!
Uscendo dal Gallery mi sentivo felice e ringraziavo Dio per la testimonianza del Cardinal Martini.

Un sincero grazie a tutti.

Nuovo commento