DIALOGO DI ESTETICA: LA RICERCA DELLA CONCRETEZZA. LA FINE DEL POSTMODERNO - RELATORE: LOREDANA PARMESANI

08.10.2012 21:00

 

Se all’alba del XX secolo l’uomo verificò la crisi dell’intuizione e dell’esperienza empirica e imparò a rendere le splendide astrazioni matematiche concetti altamente contro-intuitivi, oggi è costretto a riprogrammarsi al cospetto della madre terra con un inedito scenario, a mettere in atto il principio di verificabilità in base al quale osservazioni fisicamente possibili o compatibili con le leggi scientifiche, possano concretamente essere applicate.

È così che arte, filosofia, economia e politica stanno per rientrare in scena accompagnate da un nuovo partner: la concretezza della terra e la necessità dell’individuo di ridiventare concreto e solido, di misurarsi nel suo fare con nuove regole per potersi aprire a inedite forme e visioni che da più parti iniziano a delinearsi. Forme e visioni che trovano un interessante esempio nel lavoro dell’Atelier Van Lieshout, il quale, sottolineando la sempre più crescente carenza di materie prime, preannuncia la scomparsa del postmoderno e presuppone una visione estetica basata su una sopravvivenza tribale e cannibalesca.  

 

 

Loredana Parmesani, critico e storico dell’arte, è autrice di pubblicazioni sull’arte contemporanea, tra cui I colori della notteArte & CoL’arte del secoloL’arte del XX secolo e oltre tradotti in svariate lingue, oltre che di numerosi saggi su libri e riviste.
Ha organizzato e collaborato alla realizzazione di numerose mostre in Italia e all’estero tra cui: “Registrazione di frequenze”, Bologna, “XI Quadriennale”, Roma, “Take Over”, Milano, Los Angeles, “Business Art-Art Business”, Groningen, Padiglione italiano, “XLV Biennale”, Venezia, “Milano anni novanta”, Milano, “Critica in opera”, Castel San Pietro, “Arte per tutti”, Codogno.
Insegna Storia dell’arte moderna e contemporanea presso l’Istituto Europeo di Design, Sociologia dei processi culturali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e Estetica presso la Civica Scuola d’Arte drammatica “Paolo Grassi”. Tiene corsi e seminari in numerose università italiane.

 

Dibattito

Data: 10.06.2013

Autore: Gabriele Ornaghi

Oggetto: Popolo di camminatori

Epoca di caos

L’epoca nella quale viviamo è fatta di grandi sfide: poche certezze per il futuro e grandi angosce. I giovani che come me si affacciano al futuro e timidamente (o no) muovono i loro passi nel “mondo degli adulti” non possono che porsi una domanda: “ma io, chi sono?”. La risposta non può essere certamente semplice ed immediata, come se fosse uno dei tanti messaggi contenuti nei “Baci Perugina” o nei “biscotti della fortuna”. La risposta a questo “chi sono” necessita infatti di un cammino, che parta dalla presa di coscienza di essere nel mondo. Heidegger stesso ce lo faceva notare all’inizio del secolo scorso: noi siamo gettati in questo mondo e non siamo soli, ma siamo un insieme di enti che vivono, cooperano, si formano tra loro. La modalità del nostro vivere però dipende unicamente dalle nostre scelte. A noi, e a noi soltanto, è dato scegliere se vivere in maniera autentica o in-autentica. Il “demone” dell’inautenticità, è un demone che da più di mezzo secolo è stato individuato dal pensiero filosofico e no, ma che ancora non è stato “esorcizzato” dalla nostra vita. Non è un caso, a mio parere, che proprio nel XX secolo si siano sviluppate correnti di pensiero che cercassero di mettere in luce quale fosse il vero e proprio essere dell’uomo (o dell’Esserci). Si intuiva all’inizio del secolo scorso, e ancor di più nel secondo dopo guerra, che si la tecnologia poteva essere un valido e ottimo aiuto per l’esistenza umana. Si era compreso che essa poteva facilmente ridurre il nostro grande mondo, ad un piccolo villaggio globale. Si intuiva però che questo avanzamento tecnologico portava con se un ombra oscura, quella della vita in-autentica, dell’alienazione dei vissuti veri dell’uomo. Mai come nel primo decennio del XXI secolo, questa alienazione è stata colta da tutti: televisione, internet, telefonia hanno perso la loro originaria funzione di comunicatori, di mezzi di comunicazione di massa, trasformandosi sempre più in luoghi di alienazione. Non voglio sembrare l’inquisitore di turno che urla al mondo intero che il Male è tra noi. Anche io come la maggior parte, se non la totalità dei giovani usa (e forse abusa) della tecnologia. Posseggo anche io uno smartphone. Sono iscritto anche io a facebook. Guardo anche io la televisione e mi soffermo sui programmi demenziali per farmi quattro risate. Al contempo però cerco, per quanto mi è possibile, di analizzare criticamente, con quel criticismo di kantiana memoria, tutto ciò che non solo esiste e vive attorno a me, ma che anche io stesso, in prima persona vivo.



Epoca di artisti o pseudo tali

Nel caos generale entro il quale viviamo, l’interrogativo quanto mai impellente “chi sono?”, trova risposta in un fenomeno che mai nella storia ha avuto precedenti: quello che potremmo definire del “tutti siamo Artisti”. Uso volutamente la maiuscola, per sottolineare il fatto che tutti (o quasi) ci sentiamo Artisti al pari di Picasso, Rembrant, Botticelli, etc. Tutti siamo degni di nota. Tutti abbiamo bisogno del nostro momento di gloria e della nostra celebrazione da parte del resto del mondo. Internet, i vari social network e i vari forum, ci permettono di farci conoscere al mondo intero. Come la prof.ssa Loredana Parmesani faceva notare nel suo recente intervento al Caffè Filosofico, oggi chiunque può creare una propria galleria d’arte, una propria mostra con a tema le proprie creazione siano esse quadri, maglioni, etc. Ognuno può per un effimero momento entrare nel mondo dei gloriosi artisti. Ma mi chiedo: è vera arte questa? E soprattutto, se l’arte riflette, come più volte ha fatto (vedi il Cubismo), lo spirito di un tempo, quest’arte che noi produciamo lo riflette? E allora “chi siamo”? La risposta che mi sorge spontanea è che siamo una generazione (e qui inserisco appieno) di uomini e donne che devono ancora definirsi. Che cercano rifugio e trovano “verità” in effimeri gesti di mera quotidianità, che nulla hanno a che fare con la vera Arte, l’autentica esistenza. Siamo una generazione che non ha compreso (e forse mai sentita) la lezione di Heidegger dove poneva una netta distinzione tra i luoghi della verità, tra quei luoghi ove possiamo trovare la “vera” verità e quelli dove solamente crediamo di averla trovata. Siamo una generazione che non abbiamo creduto a Gadamer, quando ci spiegava che l’arte contemporanea (e io volutamente estendo a quell’arte prodotta da tutti) non è vera estetica, perché l’estetica non è un gioco, un mero svago, ma deve portare alla conoscenza, alla verità. Non possiamo dirci generazione di pittori, artisti, ma siamo una generazione di camminatori.



Viandante, non è la via

“Caminante, son tus huellas”(1) scriveva il poeta spagnolo Antonio Machado e davvero io credo che “il cammino si faccia camminando” perché non è prestabilito da nessuno. L’inquietudine giovanile del non sapersi definire può cadere spesso vittima delle facili illusioni di una pseudo arte, capace di fama immediata. I reality show e molti altri programmi della televisione commerciale, ad esempio, sono il chiaro esempio di come uno possa illudersi facilmente, di come uno possa credere realmente di diventare un divo. Se è vero che l’arte contemporanea, quella vera, che la prof.ssa Palmensani sta così difficilmente scovando in tutto il mondo, sta puntando verso un mondo del concreto, verso il ritorno ad il vero ed autentico, allora bisogna guardare all’arte come una bussola. L’arte del resto come ho già detto, ha avuto sempre il “potere”di incarnare lo “spirito di un epoca”, e nell’epoca nella quale noi viviamo forse sta addirittura anticipando i tempi, ci sta indicando una strada verso cui andare. Le sofisticazioni tecnologiche che ormai sono onnipresenti nella nostra vita, hanno rischiato (o forse l’anno fatto davvero) di annichilire la nostra esistenza, il nostro io. L’arte dal canto suo sta cercando di salvarci, ci getta quell’ancora di salvezza che ci permetterà di ritornare a galla. Non è un caso, a mio parere, che negli ultimi anni, anche sui social network si siano moltiplicate comunity che proprio tramite l’arte della fotografia (fotografia non privata di un processo di restailing tecnologico) lanciano messaggi di speranza per il futuro. Dal semplice Open your mind (fig. 1), a foto che necessitano un processo di decifrazione (fig. 2), l’utente, l’umano è chiamato in prima persona a riflettere a pensare. L’invito del resto è stato ben accolto (basta vedere i molti post che vengono scritti sotto ogni foto, o i numerosi “i like”). Forse la fotografia filosofica (o etica) rappresenta proprio il nuovo fronte del pensiero filosofico. Un fronte così ancora poco affrontato, un fronte dove arte, filosofia, estetica ed etica si possono incontrare e accettano di buon grado anche la poesia e la prosa per poter rispondere alla domanda “chi sono io?”. Tutti del resto possiamo partecipare a questo processo. Tutti possiamo anche attraverso facebook (e la pagina del Caffè Filosofico), comunicare, senza la presunzione di essere Artisti, la nostra partecipazione a questo momento di evoluzione culturale. Tutti possiamo fornire quel materiale che descrivendo la nostra quotidianità, ci permette di descrivere e quindi di rispondere al domanda più difficile della vita. Dal canto mio lancio una provocazione, un sasso, senza nascondere la mano, perché da figlio di due appassionati di foto, fotografo tanto anch’io e partecipo a questa evoluzione culturale, postando su facebook (e su queste pagine) “la mia quotidianità”, la risposta al mio “chi sono”, lasciando ad altri il compito magari di commentare e magari di partecipare anche loro, ricordando però che non siamo necessariamente artisti, ma siamo Camminatori.

Gabriele Ornaghi



(1) Viandante, non è la via,/ che le tue orme, nient’altro;/viandante, non ci sono vie,/la via si fa camminando./ La fai tu mentre cammini,/ e se volgi indietro l’occhio/ vedrai il sentiero che non/ ritornerai più a calcare./ Viandante, non ci sono vie,/ solamente scie sul mare.

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