ECATOMBE: L'OLOCAUSTO DEGLI ANIMALI NELLA SOCIETA' CONTEMPORANEA - RELATORE: LIVIO CADE'

14.03.2016 21:00

Ogni anno miliardi di esseri coscienti, sensibili e dotati di intelligenza, vengono ridotti in schiavitù, maltrattati, torturati, uccisi brutalmente. Una spaventosa violenza che si compie nella quasi totale indifferenza, col conforto di giustificazioni sociali, economiche, scientifiche o teologiche che nascondono le logiche del dominio e della sopraffazione. La tirannia dell’uomo sul mondo animale spinge a una riflessione su una colpa collettiva e nascosta, sulle ragioni di un antropocentrismo egoista e spietato. Insieme, induce a elaborare l’utopia o la speranza di un’etica nuova, basata sul reale rispetto della vita in tutte le sue forme.

 

APPUNTI DEL RELATORE

 

 

eBook e e commenti nel blog cittadino "CremAscolta"

Dibattito

Data: 25.03.2016

Autore: Gianmario Moro

Oggetto: Riflessioni

Ho letto con grande interesse gli appunti di Cadè.
Sono riflessioni che mi toccano molto da vicino in quanto sono un veterinario che da oltre 30 anni svolge la propria attività nei maggiori macelli della provincia.

Sono passati esattamente 34 anni, ed ancora oggi quando vedo macellare un suino o un bovino mi sento a disagio - ancora più terribile è assistere alla macellazione di un agnello!
Il tutto diventa ancora più sconvolgente se assistessimo alla macellazione islamica "halal", dove l'animale non viene
stordito, ma gli viene tagliata la testa. Immaginate una simile decapitazione fatta ad un cavallo.
Pensate alla sua sofferenza!
Eppure, per quieto vivere questo in italia è ammesso.

Che dire? Se voi poteste vedere lo sguardo di un suino o di un bovino che atterrito aspetta di essere iugulato...

Certo ci sono delle leggi sul benessere che hanno migliorato di molto il benessere alla macellazione. Ma che senso ha parlare di "benessere" se dopo vieni decapitato?
Certo è meglio morire col sorriso che col pianto, ma è sempre un morire......di.......emme......

Da parte mia ormai sono quasi un vegetariano. Ma dovremmo tutti seguire la parola d'ordine:

FRUGALITA',UMILTA',COMPASSIONE........BUONA PASQUA...
DR GIAN MARIO MORO-MEDICO VETERINARIO

Data: 20.03.2016

Autore: Adriano Tango

Oggetto: Animalismo. Un discorso etico moderatamente antropocentrico

Nella scala dei valori, che riguarda ogni essere, propongo questa serie di priorità da soddisfare, decrescenti in quanto allargate. Etiche, in quanto ricavate dalla storia biologica degli esseri nei loro rapporti:
1. Individuo e sua promozione (io prima di te)
2. Specie, linea germinativa (umano, famiglia-discendenza)
3. Biosfera (empatia fra viventi, promozione della vita in generale)
L'etica umana si può elevare sopra tali condizioni? Solo a premesse biologiche soddisfatte. Ma queste regole sono un riscontro costante in natura? In altre parole, è una regola generale della vita quella esposta?
I rapporti di priorità si possono capovolgere. Esempio: la madre, umana o altro animale, che salva il figlio a costo della propria vita, prepone l'interesse di specie e di linea al proprio. La madre che in un raptus folle uccide il figlio dal quale si sente aggredita psichicamente, ha comportamento opposto. La lupa che allatta un neonato umano, invece di mangiarlo e far più latte per i suoi cuccioli, antepone la solidarietà interspecie. Ciò si manifesta sotto forma di istinto, ovviamente, e noi chiamiamo ciò sentimenti, comuni a buona parte del mondo animale senziente.
Ora è vero che:
a. Non abbiamo bisogno per promuovere l'individuo o la specie dell'uccisione per nutrimento a spese di animali "altri". L'alternativa vegetariana, allargata o meno, è valida, soddisfa il punto 1.
b. In ricerca sanitaria, la regola delle 3R citata dal Presidente ha un punto di eccellenza in Italia ma ci sono dei limiti nell'utilizzo di altri modelli biologici, concreti o astratti-virtuali, e concordo con un criterio di massimo rispetto: priorità di specie, punto 2.
c. In contravvenzione al punto 3, che non è un assoluto, ma una condizione di riscontro particolare, il sacrifico di vite è temporaneamente ammissibile in rapporto inversamente proporzionale alla sofferenza causata e all'attesa naturale di evento lesivo violento mortale. Nel rispetto inoltre della fiducia accordata da esseri, anche se fraudolentemente indotta in condizioni di prigionia.
Mi spiego meglio: il rischio di essere secondo natura mangiato, o premorire alla senescenza, attenua la colpa della soppressione di una vita, i quanto evento biologico fisiologico, in assenza di inutile crudeltà. Un pesce nascendo ha una quasi certezza di morire mangiato, sopravvivono solo i più grossi, un lombrico ancor più, e poi è un clone e non un individuo, tagliato in due infatti si raddoppia in due lombrichi uguali, quindi il sacrificio non sussiste, e comunque non vi è coscienza né alcun patto tacito violato. Teoricamente può esservi dolore, ma la natura ripaga se ne trae un utile, quindi non ci credo. Criterio per i punti a e b.
Secondo la logica espressa nel punto c - fiducia, uccidere con un colpo di carabina a distanza un capo bovino, come avviene, ma ancora per poco, nelle distese a pascolo della pampa argentina, a vittima quindi inconsapevole del "tradimento" è diverso che condurre al mattatoio un vitello che fino al giorno prima ti leccava la mano (i bovini sono molto affettuosi e sensibili).
Questa è quindi, secondo riflessioni svolte e dati raccolti nel mio percorso vita, la guida etica che risponde alla domanda sul "come, se non dove porre l'asticella".
Comunque, senza ledere la riservatezza di comunicazioni private di Livio Cadè, vi assicuro che nel confronto a due è molto meno assolutista di quanto possa sembrare in qualità di Relatore, anche'egli contemplando la possibilità di un work in progress nel cammino sulla via di Damasco, magari da un suo punto di vista molti chilometri più avanti della media, quindi di me.
Resta poi il problema, anch'esso etico, anche se Luca Lunardi non lo contempla come tale, dell'autolesionismo della scelta alimentare zoofaga; non per l'individuo, fatto ininfluente se ne è conscio, magari convinto del contrario, ma per la specie umana, per motivi che il Presidente stesso espone, rimarcati, fra l'altro, nella loro drammaticità ieri dalla serissima trasmissione del sabato RAI 3, seconda serata "Scala Mercalli". È etico ignorare avvertimenti che sono ormai certezze fin sull'orlo del baratro? Non è un reato contro l'umanità, non contro il solo mondo animale-altro?
Resta da vedere quindi, a nostre spese, quanto sia lunga questa via di Damasco, cioè quanto tempo ci resta prima della meta catastrofica!

Data: 20.03.2016

Autore: Livio Cadè

Oggetto: R: Animalismo. Un discorso etico moderatamente antropocentrico

Adriano, tu porti argomenti che hanno un fondamento razionale ma che secondo me non toccano il cuore del problema.
Io non credo di essere sentimentalmente sbilanciato, di “giocarla sulla sensibilità”.
Penso d’altro canto che non sia possibile alcuna riflessione etico-razionale se non partendo da una percezione affettiva della realtà.
In altre parole dalla consapevolezza del dolore, della sofferenza fisica e mentale.
Di fronte al dolore degli animali (mi riferisco a quelli che soffrono per colpa dell’uomo), mi pare vi siano tre reazioni possibili:
il piacere sadico
l’indifferenza
la compassione
passando cioè, attraverso lo zero (l’indifferenza), da un valore negativo di empatia (il sadismo) a uno positivo (la compassione).
Ai sadici – fra cui metto anche coloro che hanno bisogno di uccidere gli animali per sentirsi cacciatori, dominatori, ‘veri uomini’ – o agli indifferenti, io non ho nulla da dire, proprio perché manca una comune sensibilità.
Ogni argomento razionale verrebbe freddamente vagliato e non porterebbe nessun cambiamento.
Fortunatamente, dal mio punto di vista, vi sono molte persone compassionevoli. Persone che hanno sublimato il proprio sadismo o che hanno maturato un’empatia positiva nei confronti della sofferenza degli altri, animali compresi.
È a loro che io mi rivolgo, chiedendo di riflettere sulla coerenza fra la propria sensibilità umana e le proprie scelte concrete.
Lo posso fare con argomenti filosofici, storici, scientifici ecc. Questo ha poca importanza.
Quello che determina una scelta è la ‘sensibilità’ personale.
A volte si tratta solo di prendere coscienza di una realtà che ci era nascosta o che avevamo rimosso.
Non mi importa tanto di spaventare la gente mettendola di fronte alla probabile catastrofe, per l’ambiente, per la salute ecc., ma di metterla di fronte al problema etico della responsabilità personale e della propria integrità morale (per integrità intendo agire in conformità con la propria coscienza, senza trovare giustificazioni egoistiche).

Data: 21.03.2016

Autore: Adriano

Oggetto: R: R: Animalismo. Un discorso etico moderatamente antropocentrico

caro amico
l'amore non è contagioso. Padre di un carnivoro e marito di carnivora e di un vegetariano circa, compagno di vegetariana integrale, come potrei farli conciliare?
siamo avanti al tem della cultura di pensiero orientale e occidentale: acutezza e limitazione contro larga base e diffusione. Bisogna pur parlarne! O ci mettiamo tutti sulla strada di Damasco? Vinciano ne nnasce uno illuminato su un... one

Data: 19.03.2016

Autore: Luca Lunardi

Oggetto: Aut Aut

Un temporeggiatore che non si proteggerebbe dalle folgori sulla via di Damasco: ecco dove mi metterei, nella classificazione umana dei non carnivori (e aspiranti tali) che ho appreso da Livio Cadè al Caffè Filosofico.

Non sono mai entrato in un mattatoio, né in un allevamento intensivo. Sono cresciuto in una famiglia che ha sempre ampiamente consumato carne, da nonni contadini con polli e maiali da uccidere al momento giusto. Attorno alla casa dove sono nato e cresciuto ancora oggi si trovano stalle e pollai. Ho assistito a qualche veloce proiezione televisiva, visionato pochi minuti in rete, letto qualcosa tra libri e riviste. Da questo punto di vista sono figlio legittimo della cultura che obnubila, nasconde accuratamente alla vista e alla coscienza ciò che accade agli animali su scala industriale. Tutto vero.
Ma in questa sede l'obiettivo primario è quello di gettare uno sguardo al nucleo delle argomentazioni, di andare alla vera radice delle scelte; in sostanza, ai motivi più propriamente e profondamente filosofici. Qui mi interessano meno le pur rilevanti considerazioni di stampo variamente ecologico, evoluzionistico, salutistico. Quanta CO2 emettono gli allevamenti. Quanti tumori causa il consumo di carne. Questi sono sentieri laterali (nell'economia del tema qui affrontato, non per l'intrinseca importanza!) di una grande via maestra che solo una decisione può spingere a imboccare. E se si parla di decisioni si parla di etica: solo di etica. Il resto è collaterale e consequenziale. È evidente infatti che spetta a ciascuno di noi decidere cosa fare per diminuire la sofferenza.

L'uomo usa gli altri animali, oggi, per quattro scopi principali: alimentazione; vanità; divertimento; ricerca biomedica. I primi tre ambiti esauriscono assieme la stragrande maggioranza degli impieghi, e sono accomunati da un'altra cruciale caratteristica: il legame tra l'astensione dai relativi "prodotti" - ad esempio bistecche, cosmetici, spettacoli - e la liberazione animale è diretto e non pone problemi etici di sorta. Al contrario i problemi si pongono proprio se a quei "prodotti" non si rinuncia, e chi scrive ritiene che la posizione generale di Cadè in materia sia molto solida, anche quando depurata dagli orientamenti di natura religiosa, storica o sociologica. Tuttavia, molti potrebbero pensare che non ci sia niente di sbagliato nell'uccidere gli animali per mangiarli; tutto starebbe nel modo in cui li si uccide. Sospetto sia il convincimento implicito di larghissima parte della popolazione, la quale, direbbe Cadè, è tuttavia all'oscuro di come in realtà quelle uccisioni avvengono (e al termine di quali lunghe agonie). Anche un approccio parziale e progressivo volto a perseguire un miglioramento delle condizioni di vita degli animali potrebbe rappresentare un apprezzabile mutamento, se applicato sistematicamente e sostenuto culturalmente. Sul versante della ricerca, ad esempio, è la stessa comunità scientifica che ha ormai preso generale coscienza, in dialogo con il legislatore, della necessità di implementare e consolidare il cosiddetto paradigma delle "Tre R": Ridurre (il numero di animali impiegati); Rimpiazzare (l'animale con altri metodi di test); Raffinare (i metodi stessi). Questo genere di soluzioni non ha certo la radicalità che Cadè auspica, ma credo che non le disdegnerebbe.

Siccome sono un temporeggiatore, voglio tentare di andare al cuore del pensiero di Cadè, prima di convertirmi. Mi pare che le sue argomentazioni poggino su due grossi pilastri, solo uno dei quali è propriamente etico, mentre l'altro è ontologico. Il primo è sintetizzato da una sua radicale affermazione: «semplicemente, non ammetto la tortura di nessuno, in nessun caso»; il secondo ha un nome: antispecismo.

Citata alla lettera, probabilmente tutte le persone civili concorderebbero con la prima posizione, soprattutto perché è compromessa dalla parola "tortura". Ma qui l'ambito è anche quello della ricerca biomedica, e mettendo da parte tutto ciò che per Cadè rientra nella complicità nichilista della scienza (argomento su cui dissento ma che non mi interessa affrontare qui), a porsi è un altro dilemma speculare. Oggi tutti noi diamo per scontati servizi medici lo sviluppo dei quali non sarebbe stato in alcun modo possibile senza la preliminare sperimentazione animale, che purtroppo ha causato in passato una grandissima dose di sofferenza. L'obiezione di Cadè e di tutti gli "animalisti" (la parola non mi piace ma non ne trovo una migliore) è quella che «si sarebbero potute trovare altre maniere, senza coinvolgere gli animali»: ebbene, ciò è largamente falso, e non perché l'uomo sia irrimediabilmente malvagio e abbia approfittato di una scorciatoia a buon mercato, ma perché semplicemente non c'erano (e spesso non ci sono ancora oggi) altre tecniche. I limiti erano e sono di natura epistemologica e tecnologica; in una certa misura resteranno per sempre, perché l'essere umano è un agente che procede per tentativi ed errori, non un semidio che sa già tutto per anamnesi o infallibile metodo. Stiamo parlando della storia della medicina, documentata e accessibile. Quella che attesta il travagliato percorso dalla scoperta dei microrganismi che si trasmettono tra i viventi causando infezioni, ai vaccini, agli antibiotici, ai metodi diagnostici come la radiografia, a un elenco lunghissimo di farmaci oggi irrinunciabili, apparenti banalità come l'endovenosa o il controllo dei parametri vitali come la pressione sanguigna, l'anestesia, tutti gli interventi chirurgici. L'elenco è sterminato, e pressoché tutte queste conquiste sono state rese possibili grazie ai test sugli animali. È terribile, è scioccante, ma è la verità. Come dovremmo ricordarci che la bistecca che mangiamo è prima stata un animale che ha sofferto, dovremmo ricordarcelo ogni volta che il dentista ci anestetizza, veniamo operati di appendicite, stronchiamo una infezione pericolosa con l'antibiotico, prendiamo insulina perché siamo diabetici, vacciniamo i bambini, facciamo una lastra per vedere se l'osso è fratturato, perfino quando qualcuno ci fa una puntura.

«Semplicemente, non ammetto la tortura di nessuno, in nessun caso»: l'istanza etica veicolata da questa affermazione, unita al rifiuto di qualunque antropocentrismo (antispecismo), dovrebbe portare Cadè a trarre la conclusione titanicamente coerente che va rifiutato qualunque risultato, utile all'essere umano, derivante direttamente o indirettamente dalla sofferenza scientemente inferta al resto del mondo animale. Questo resterebbe vero anche nell'ipotesi in cui tutte le acquisizioni mediche sopra elencate fossero state possibili senza ricorrere alla sperimentazione sugli animali: resteremmo tuttavia vincolati dai dati di fatto, ormai storicizzati e inalterabili, perché gli animali sono stati sacrificati. Le epidemie di poliomielite, tubercolosi, difterite, pertosse, tifo, rabbia, tetano, morbillo, epatite B… sono state debellate passando attraverso test su animali. Tutta la chirurgia e l’anestesia sono passate da cani, pecore, capre, maiali, vitelli, scimmie. Si poteva fare altrimenti, all'epoca dei loro sviluppi? No. Solo un radicale antispecismo può portare alla conclusione che l'umanità debba, per ragioni etiche, rinunciare a quelle soluzioni, tornare a tassi di mortalità medievali, ricominciare daccapo la ricerca usando solo test in provetta (solo parzialmente disponibili oggi e non certo in grado di coprire tutte le esigenze e azzerare i rischi), per rimettere in commercio nuovi antibiotici, sulfamidici, vaccini, anestetici, farmaci vari. Solo una estrema e paradossale coerenza potrebbe giustificarlo.

Cadè ammette certe linee di demarcazione – provvisorie soluzioni di continuità nel biologico – che gli permettono di evitare i sofismi su insetti o microbi. Non le traccia tra l'uomo e la gran parte degli animali (menziona mammiferi e uccelli, ma direi anche i pesci) perché le strutture della sensibilità al dolore, e spesso delle emozioni, sono comuni. Posso senz'altro condividere il criterio. Ogni linea di separazione è in una certa misura arbitraria, e tracciata per motivi che esulano in tutto o in parte dalla pura razionalità - prima o poi subentrano elementi metafisici ed etici. Non può essere altrimenti: è Cadè stesso a muovere quella linea; è Cadè stesso a rivendicare un'esigenza etica. Non è allora ingiustificabile, da questo punto di vista, pensare che tra l'uomo e gli altri animali esista una forma di alterità ontologica che assegni all'uomo una posizione diversa. Quello che Cadè non accetta è che questa alterità ecceda il dato sensibile - la sofferenza fisica, la manifestazione delle emozioni, l'empatia - per sfondare il metafisico. Sorprendente conclusione conoscendo il pensatore, che si batte strenuamente perché metafisica e senso religioso si riprendano la custodia del mondo, oggi dominato da forze barbare.

Ai filosofi e a molti scienziati piacciono mondi possibili ed esperimenti mentali. Cadè stesso li immagina, scomodando perfino civiltà aliene antropofaghe. Posso quindi proporne uno anch'io. Se in mezzo a una strada trafficata si trovassero immobili un cane e un essere umano, e un'automobile a tutta velocità si avvicinasse a loro, io non avrei dubbi su quale dei due animali tuffarsi per tentare un estremo salvataggio. Ho tracciato una linea. Ho fatto una scelta. Ma con la stessa sicurezza riconosco di essere inchiodato dalla mia ignavia, quando mangio carne e porto mia figlia al Parco delle Cornelle. Un giorno dovrò smettere di temporeggiare.

C'è ancora molto, moltissimo spazio per dire «proteggiamo l'uomo e gli altri animali». Fin dove è possibile, il più possibile.

Data: 19.03.2016

Autore: Livio Cadè

Oggetto: R: Aut Aut

Caro Luca, nel risponderti molto brevemente voglio prescindere da ogni considerazione sulla validità terapeutica della nostra medicina e sulla validità delle sue metodologie. Sai che su questi aspetti io sono fortemente critico.
Tuttavia, anche ammessa questa duplice validità, io continuerei a negare ogni liceità alla tortura come strumento di indagine. Se non ti piace il termine ‘tortura’ si può dire che queste pratiche rappresentino per gli animali un supplizio, un calvario, comunque sofferenze atroci – e quella R che sta per ‘ridurre le sofferenze’ è pura ipocrisia.
Non credo d’altro canto che si debba rinunciare alle conquiste della medicina (parlo di quelle veramente necessarie al benessere umano, non certo di quelle utili solo all’industria farmaceutica) solo perché sono state ottenute con la crudeltà.
Dovrei in tal caso rifiutare in blocco una civiltà che si è sviluppata sulle guerre, le rivoluzioni, i massacri e le torture.
Quello che ritengo necessario è un cambiamento di paradigmi, che certo non può avere effetti retroattivi ma solo, si auspica, effetti futuri.
Cerco di svincolarmi dall’angustia di ragionamenti utilitaristici.
È plausibile che anche la tortura come strumento di indagine giudiziaria, per motivi di sicurezza pubblica, possa produrre importanti benefici per la società. Questo non cambia il mio rifiuto etico della tortura, qualunque ne sia lo scopo.
L’esempio del cane e dell’uomo (chi salvereste?) mi sembra retorico. Se io ponessi questa tragica e ineludibile alternativa tra un bambino sano e un vecchio malato chi sceglieremmo?
In ogni caso, nella questione animale, si tratta di uccisioni e torture deliberate, di un’un ecatombe sistematica, metodica e automatizzata, compiuta a mente fredda. Non si tratta di decidere istintivamente di fronte a un’opzione imprevista e drammatica.
Quindi, anche se con la vivisezione io supponessi (non lo posso sapere a priori) di ottenere dei risultati utili per la mia specie, i mezzi che uso per raggiungere quegli ipotetici fini me la rendono moralmente inaccettabile.
Più spazio meriterebbe l’argomento metafisico. In sintesi posso confermare la mia indisponibilità a tracciare una separazione ontologica fra l’animale umani e gli altri animali.
La concezione antropocentrica, come quella geocentrica, deve lasciare il posto a una concezione di infiniti centri in un cerchio infinito.
Le ragioni che stabiliscono la supremazia di una specie sono per me di natura fisica e mentale, non ontologica. E le ragioni con cui si cerca di giustificare razionalmente questa sopraffazione sono puramente opportunistiche.
Non vedo perché questa mia idea debba sembrare incompatibile con una visione metafisica dell’esistenza.

Data: 15.03.2016

Autore: Adriano Tango

Oggetto: Non solo sensibilità

Poco da commentare sulla lezione, più che relazione di Livio. Poco perché la sua decisione è stata quella di giocarla tutta sulla sensibilità, il risveglio delle coscienze, l'empatia verso nostri simili, e molto meno diversi da noi di quanto pelo e numero di zampe possa fa sembrare. Recidendo lo spunto alla trattazione razionale, ritenuta per definizione dal Relatore non pertinente all'argomento, che rappresenta una questione in primis individuale di coscienza, si poteva rischiare tuttavia di affievolire il dibattito, ma il tema era così caldo che ciò sarebbe stato impossibile, e ben lo sapeva Livio. E le corde della coscienza le ha fatte vibrare, e come! E questa volta, per quanto mi riguarda, ero in piena sintonia.
Così Cadè ha stoppato la disquisizione sui limiti inferiori di complessità dell'essere su cui porre l'asticella per considerare crudeltà il nostro comportamento di oggettivazione commestibile di animali sensibili e sofferenti: il coniglio, il pollo, l'insetto, il vegetale? (Piero Carelli). No, il limite è nella coscienza individuale, non nelle argomentazioni. Inutilmente quindi ho tentato di approfondire il rischio planetario che la nostra condotta di neo-carnivori comporta (sottolineo il neo-, perché, concordo con Livio, e in accordo con le fondamentali ricostruzioni storico-antropologiche, questa condotta alimentare non ha radici paleostoriche se non in condizioni strettamente sopravvivenziali, quali l'era glaciale).
Comunque, se non riusciamo a impedire l'uso del carbone per produrre energia, possiamo al contrario limitare l'enorme quantità di Co2 che la zoo-massa (mi si scusi il neologismo) planetaria espelle, noi compresi, secondo argomento che ho provato a portare quale spunto razionale a sostegno delle scelte emotive. Il commento di Cadè era prevedibile: un tema antropocentrico contro un atteggiamento di fatto colpevole per antropocentrismo.
Terzo quesito di fondo da me posto: mettiamo che Livio Cadè riesca con una conferenza in diretta mondiale a risvegliar le coscienze dell'intera popolazione, a far bandire il consumo di carne. Quindi condanniamo queste specie, che noi mangiamo, all'estinzione! Già, perché abbiamo fatto di peggio che mangiarli: ci siamo appropriati di spazi abitativi che non erano nostri, ma loro. L'alternativa sarebbe che al posto del pet di casa alcune famiglie ospitassero una bella mucca frisona da compagnia, o aderire alla cultura induista e condividere i nostri spazi pubblici già colpevolmente stipati con suini, pollame… Non è uno stupido paradosso: vera giustizia dovrebbe prevedere il confinamento degli umani in regioni ragionevoli. Devo dire che voci a sostegno della mia condanna si sono levate dalla sala, ma il taglio posto, ancora una volta, faceva apparire l'argomento fuorviante. Del resto, se per espanderci abbiamo trucidato intere etnie di nostri simili, e con estrema crudeltà, come sottolineato con esempi dal relatore, questo mio tema autolimitativo vale ovviamente zero. Il fatto che costituirebbe il nostro unico obiettivo di salvezza di specie, e lo pensano tutti i ricercatori dei più svariati rami, poco conta.
Quarto problema: il rischio infettivologico di questi stabilimenti zootecnici alle porte di casa. A parte l'abuso di antibiotici impiegati nonostante i controlli, e che noi ingurgitiamo con le carni con danni irreparabili per il nostro patrimonio microbico intestinale, non ci rendiamo conto di convivere con un pabulum di germi che rischiano di scatenare nuove pestilenze incontrollabili, senza preavviso? Ancora una volta Livio si oppone a un'argomentazione che in fin dei conti è utilitaristica per l'essere umano contro un problema di coscienza individuale.
Concordo Livio, la somma di più coscienze risvegliate, di più dissensi mostrati scuotendo il capo, di più scelte fatte al supermercato o al ristorante, si chiama politica ed economia planetaria, si chiama crescita civile, sia pur tardiva della società umana. Capisco, avviarsi sul terreno dei confronti razionali avrebbe richiesto una sessione dalla sei ore in poi tendente all'infinito, tuttavia non chiudiamo alle valutazioni razionali sul tema, che sono meno empatiche ma più rispondenti al principio filosofico dell'argomentazione. E per approfondire usiamo ora il dialogo su questo e altri canali paralleli: risentiamoci anche su Cremascolta, ad esempio.

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