FILOSOFIA ED ESTETICA. PASSATO, MEMORIA, FUTURO: CONSERVARE L'ARTE - RELATORE: ANNA LUCIA MARAMOTTI POLITI

13.03.2006 21:00

Se l’estetica va intesa primariamente come teoria o filosofia dell’arte viene da pensare che la parentela fra arte e bello , fra arte e gusto , fra arte e sfoci in un’ovvia considerazione sul relativismo che la soggettività del giudizio esprime. Pulcrum: quod visum placet. Ogni gusto è indiscutibile. Il discorso sembrerebbe doversi chiudere qui.
Ma, a ben riflettere, l’estetica si costituisce anche come valenza gnoseologica, sì che la cultura ha elaborato / elabora l’arte, come una delle sue proprie dimensioni entro la quale oggettivarsi.
Senza dimenticare che nella contemporaneità l’arte, anche dove non c’era, sembra irrompere e, dove era presente, sembra essere obnubilata da segni che l’offendono.

Una riflessione sull’arte e sul bisogno della sua (corretta e timida) conservazione.

Anna Lucia Maramotti Politi

Laureata in Pedagogia (Università Cattolica di Milano) e in Architettura (Politecnico di Milano), ha conseguito la specializzazione in Filosofia neo-scolastica presso l’Università Cattolica di Milano

Insegna come docente a contratto Teorie e Storia del Restauro presso:

  • Il Politecnico di Milano, Facoltà d’Architettura (sede di Mantova)

  • L’Università di Ferrara, Facoltà d’Architettura

  • Accademia “Cignaroli” Verona

  • Accademia “ S. Giulia” Brescia

Fra i suoi scritti ricordiamo:

Passato, memoria, futuro: la conservazione dell’architettura, Giosia, Guerini Studio, Milano, 1996

 

Comunicato-stampa

Il binomio filosofia-estetica è un classico: dalla domanda socratica sul “bello”, alle analisi riduttive del fatto artistico di Platone, alla successiva enfasi da parte di Aristotele, la filosofia fin dall’inizio si è interrogata sull’arte.

Riproporre ora questa riflessione significa in realtà ripercorrere un po’ tutta la storia della filosofia fra soggettività ed oggettività dell’arte: è bello ciò che, visto, piace ? oppure l’estetica è una forma oggettiva della conoscenza dell’uomo?

Problema attuale, dal momento che, oggi, l’arte, anche dove non c’era, sembra irrompere; e dove era presente sembra essere obnubilata da segni che l’offendono.

Nel percorso di analisi dei diversi modi di proporsi da parte del pensiero filosofico - che il Caffè Filosofico di Crema ha recentemente avviato sotto l’espressione “filosofia e …” - questa sull’ estetica riveste un carattere particolare di assoluto interesse.

 

 

Relativismo estetico

 

Se l’estetica va intesa primariamente come teoria o filosofia dell’arte viene da pensare che la parentela fra e , fra e , fra e sfoci in un’ovvia considerazione sullo strutturale relativismo che la soggettività del giudizio esprime. Pulcrum: quod visum placet. Ogni gusto è indiscutibile. Il sentire esce dalla sfera volitiva-consapevole del soggetto. Il discorso si chiude qui: qualsiasi altra osservazione sembra pleonastica e ridondante.

Ma, a ben riflettere, l’estetica (Baungarden e Kant docent) si costituisce come riflessione intorno all’impatto conoscitivo che si ha nell’immediata presenza del e sulla valutazione che ad esso si assegna al come tale, senza connetterlo ad altro se non ad un d’approvazione o di rifiuto da parte dello stesso soggetto: , . In questo ambito, che parrebbe assumere una valenza gnoseologica, la cultura ha elaborato / elabora l’arte, come una delle sue proprie dimensioni entro la quale oggettivarsi.

Il tema assume una triplice scansione: 1) la presa in carico della conoscenza immediata , 2) il giudizio come del soggetto, 3) la convinzione che tale presenza abbia una dimensione propria: .

Il primo momento comporta la domanda intorno all’immagine, all’immaginazione e all’immaginario (fantasia); si tratta di chiedersi quale consistenza è dato attribuire a queste .

Il secondo momento comporta chiedersi come una condizione conoscitiva (la presenza dell’immagine) comporti un atto di . L’atto di giudizio, che coniuga un ad un’identificazione di un , lungi dal richiedere una spiegazione, s’impone: è un originario modo del giudicare, un modo semplicemente di rilevare e rivelare tale . Esplode il relativismo. Dal Settecento al secolo successivo sembra che, entro le correnti dominanti della riflessione filosofica, si faccia avanti la considerazione dell’opinabilità del giudizio estetico. Come non ricordare la teoria del gusto di Hume, espressione del suo Empirismo, o la posizione di Kant altrettanto espressione del suo criticismo. Ma l’estetica del Novecento va ad individuare modalità proprie, rispetto alla riflessione dei due secoli precedenti, che tentano d’incanalare e il conseguente entro sfere capaci di dar dell’orizzonte entro cui si dà il fenomeno artistico. E’ l’estetica a definire i campi teoretici, essa non è semplicemente una filiazione di concezioni filosofiche. L’estetica è la filosofia. Si tratta dell’arte come , come , come , come , come .

Il terzo tema porta a riflettere come, condizione della civiltà, sia l’individuazione di una sfera (per altro ritenuta il più delle volte ) di attività da ritenersi . (Decostruttivismo estetico e la dimensione estetica come espressione dell’individualità soggettiva di un soggetto come artefice o come fruitore).

Ma questo ambito da teoretico si fa propulsore di un fare attorno all’arte. Non si tratta semplicemente di proporre , ma di proporre quale attenzione occorra avere per . Il decostruttivismo, se intacca, come consapevole poetica, l’opera conferendole relazionando , a sua volta è il risultato inconsapevole cui fa approdare l’immagine (quella che dovrebbe essere oggetto di restauro); essa nella , nell’immediato contiene . Queste sono tutte lì, in un atto d’immediatezza in cui l’arte sembra dissolversi, in cui la storia consegna solo tracce, in cui la memoria dà adito all’immaginario che si trasforma in nuove immagini. L’arte, anche dove non c’era, sembra irrompere e, dove era presente, sembra essere obnubilata da segni che l’offendono.

Sarebbe plausibile arroccarsi sull’istanza , definendo la un atto meramente attento a salvaguardare i segni della storia che l’oggetto è riuscito a trattenere; ma non è così. La è un modo di far arte: è la presa in carico che l’arte è una condizione del conoscere nel tempo di ciò che fa menzione e che al contempo è. Non si conserva la storia, le res gestae, ma si conservano le tracce che sono una .

Lungi dal considerare la imparentata solo con l’archivistica o l’archeologia (discipline per altro cui è debitrice), essa è la condizione stessa per intrecciare presente a passato, in un atto che , solo perché che essa non si dissolva in un oblio che si risolve nel nulla. Mentre le immagini, decostruite dal tempo, sembrano sottrarsi a qualsiasi comprensione, le tracce conservate si fanno annotazioni presenti che fanno riferimento a tempi che compressi nell’immagine, si dilatano nel loro raccontarsi, si snodano nella temporalità che si racconta.

 

Anna Lucia Maramotti Politi

 

Laureata in Pedagogia (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) e in Architettura (Politecnico di Milano), ha conseguito la specializzazione in Filosofia neo-scolastica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

 

Insegna come docente a contratto Teorie e Storia del Restauro presso:

Il Politecnico di Milano, Facoltà d’Architettura (sede di Mantova)

L’Università di Ferrara, Facoltà d’Architettura

Accademia “Cignaroli” Verona

Accademia “ S. Giulia” Brescia

 

Scritti relativi a problemi estetici, storici e critici del restauro e dell’architettura:

Passato, memoria, futuro: la conservazione dell’architettura, Giosia, Guerini Studio, Milano, 1996.

La materia del restauro, F. Angeli, Milano, 1989.

Rapporto fra restauro e filosofia: dalla storia alla teoresi, in "Rendiconti dell'Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere", Classi di Lettere e Scienze Morali e Storiche, vol. 133 (1999) - Fasc. 1, Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere - Milano, 2000, pp. 49 - 61

Estetiche e restauro (architettonico) : il punto di vista del teorico, in "Rivista di filosofia OLTRECORRENTE", Mimesis, Giugno, 2003, pp. 111-115

Rapporto fra le teorie del restauro critico e le estetiche neo-idealiste, in “Restauro: quaderni di restauro dei monumenti e di urbanistica dei centri antichi”, E.S.I., Napoli, n. 80, 1985, pp. 36 - 64

All'origine della conservazione. La conservazione e l'ontologia della conservazione , in "Fenomenologia e Società", Rosenberg & Sellier, Torino, n. 2/ 2001, anno XXIV, pp. 94 - 112

Dall’estetica di Pareyson quali stimoli per il restauro?, in Monumenti e ambienti Protagonisti del restauro del dopoguerra. Quaderni del Dipartimento di restauro e costruzione dell’architettura e dell’ambiente, Seconda Università di Napoli, a cura di G. Fiengo e L. Guerrirero, Arte Tipografica, Napoli, 2004, pp.87-110

Sul restauro della facciata di S. Pietro in Vaticano, in TeMa, tempo materia architettura rivista quadrimestrale di restauro, UteT, 2 –2001, pp.16-22

Ruskin fra architettura e restauro, in La cultura del restauro: teorie e fondatori, a cura di Stella Casiello, Marsilio, Venezia, 1996.

Il restauro fra autonomia ed eteronomia, in , F. Angeli, Milano, 1990.

Prolegomeni estetologici all’architettura: fenomenologia dello spazio costruito,

Corso d’estetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Unità didattica, a.a.

1987 / ”88

Vito Rastelli e la conservazione, in Provincia nuova, Cremona, n.1/2002, pp.25 –30

La copia del mandolino stradivariano: un’occasione per riflettere sul significato della , in Il mandolino coristo di Antonio Stradivari, la sua rinascita a Cremona nell’anno 2000, Grafin, Vaiano Cremasco, 2002, pp. 39-59.

La figura del liutaio restauratore, in “Liuteria: tecnica, cultura, ricerca organologica”, Cremona, n.23, settembre 1988, anno VIII.

Il bene liutario: la teoria della conservazione, in “Liuteria musica e cultura”, Cremona,

n. 32, settembre 1991, anno XI.

Dibattito

Data: 22.06.2013

Autore: Adriano Tango

Oggetto: Bello è ciò che piace?

Questa volta scrivo per chiarire quanto accennato nella serata del 13.3.

Infatti altre due volte ho scritto quasi a scusarmi di essere mancato.

E allora si dirà, se non c’eri almeno stai zitto!

Giusto

Veniamo al sodo.

Una serata in cui la Relatrice, Dott. Marmotti, è facile da seguire in quanto appassionata anche se tecnica, penso abbia un po’ preso in contropiede i presenti: l’attesa di una esposizione sui valori relativi o assoluti dell’estetica in arte si è venuta a circostanziare nella sua specifica competenza, la conservazione del bello, il restauro.

Quindi un’iniziale titubanza, il tema fondamentale, relativismo del bello, pare un po’ in disparte.

Ecco che l’uditorio si anima, perché in quest atto, l’intervento conservativo, non c’è solo ammirazione o disapprovazione, c’è interventismo e decisionalità.

Interventismo perché l’opera ne esce in qualsiasi modo cambiata, se non altro “sigillata” nella sua evolutività temporale, decisionalità perché sembra esserci alla base una graduatoria di dignità delle opere d’arte per una equa allocazione delle risorse.

Davvero?

Ci torno e riparto dal bello.

Se bello e ciò che piace ciò che non piace è brutto.

Falsa prospettiva.

Il problema è quello di anteporre come abitudine della logica occidentale l’oggetto obiettivabile anziché il rapporto, dinamico.

Ciò è sbagliato in assoluto, dimostratamente sbagliato in ogni campo: come sappiamo dalla fisica delle particelle: l’osservatorte osservando modifica l’osservato.

Non c’è nulla che sfugga ai rapporti, unica realtà nel presunto reale.

Ho anticipato logica occidentale perché in una visione genericamente “orientale classica” non si cade in questa semplificazione.

Stiamo parlando non di generica realtà ma di estimazione artistica: è proprio il rapporto il centro del discorso.

Entriamo ipoteticamente in una galleria d’arte con un gruppo di visitatori.

Prime sale paesaggi, roba accattivante con l’alberello il laghetto, le colline, i colori dell’autunno.

Tutti li troveranno “rassicuranti”, accessibili, non bellissimi ma ben fatti.

Poi i corridoi si dividono ed il gesto degli artisti diviene più specialistico.

Vedremo alcuni visitatori rapiti.

E gli altri?

Non sentiremo come commento “ma che brutto!” ma solo “non ci si capisce niente!”

Il legame non è scattato, non vi è empatia, l’amo lanciato dall’Autore non ha fatto tendere la lenza.

Quindi ciò che piace causa selezionatamene attrazione perché crea comunicazione, ciò che non piace è solo buio, assenza di luce, non contrario della luce.

Graficamente possiamo vedere rappresentata una visione strettamente relativistica come settori bianco – neri di una sfera, una “selezionistica” come una base, la cattedrale ad esempio, e le sue guglie, non contrapposte, ma alternative in quanto emergenti dalla base.

Altro problema.

Ma l’Autore sapeva coscientemente che esca usava poi?

Certo che no, per me almeno.

Qualcosa attraverso di lui comunicava.

Cosa?

La sua epoca filtrata dalla sua “anima”, ma un’anima così nascosta da essere inindividuabile.

Quindi non Autori ma interpreti, certo, più o meno dotati, ma criptici anche a se stessi.

Si può obiettare che se Michelangelo ha prodotto quell’opera è perché è esclusiva del proprio animo!

Sicuro?

E che relazione troviamo fra le personalità di Albano Carrisi e Michael Jackson?

Eppure dalle due rive opposte dell’oceano anni fa scrivevano la stessa canzone per poi farsi causa per plagio, invece di cenare insieme e cercare la fonte di questo mistero.

Ma magari il motivetto lo stava già fischiettando un direttore di banca del tutto estraneo allo spettacolo andando a comperarsi il giornale.

Semplicemente l’aria ne era satura, le note dovevano cristallizzarsi.

In ciò quindi il senso e la tipologia del restauro: il tempo non è reversibile, lo stesso Autore rinascendo non potrebbe più produrre la stessa opera, non solo bella, evocativa!

Nella stessa serata si è poi detto in poche parole: il restauro costa, cosa si restaura?

Il problema dell’allocazione delle risorse emerge prepotentemente in tutti i campi, ma in questo caso è una vere trappola ideologica.

Se ammettiamo delle priorità ammettiamo anche una graduatoria e quindi diamo alla bellezza un valore assoluto misurabile oggettivamente!

Non credo.

Generalmente l’opera d’arte più accreditata è anche più complessa di elementi e più intrisa di storia.

Non solo, il messaggio di base incontra più canali, una rete, non un singolo amo.

Quindi il critico d’arte nella sua preparazione e sensibilità non misura l’intensità di un valore ma una percentuale rapportativa, evocativa.

E dell’arte minore, pensiamo a semplici opere rurali, che ne facciamo (altra cosa emersa)?

Per fortuna la più semplice è anche quella che si può restaurare spesso”fai da te” o con costi bassi, risorse locali.

Ma chie perché lo dovrebbe fare?

Girando per le campagne francesi capita di leggere all’ingresso secondario di semplici casolari “Musèe”

Cinque franchi, quando tanti anni fa’ ci gironzolavo io con la famiglia, figli giovani, per veder cosa?

Il letto della trisavola con il suo vestito bello adagiato sopra, la gabbia d’ottone dei canarini, addirittura il vaso da notte del nonno!

Ma era proprio il caso di esporlo un oggetto così prosaico?

Cosa avrà mai di bello?

Il nonno Pierre non lo aveva mai visto certo bello, magari di notte col freddo invernale, quando la latrina esterna era irraggiungibile, l’aveva solo benedetto per la sua utilità.

Guardandolo meglio si scopre quanto sia legato a nonno Pierre, ad un documento di compromesso d’acquisto a sua firma rigorosamente vergato a china incorniciato ed affisso alla parete, alla sua pipa sulla mensola.

Il vaso di metallo laccato evoca, crea un legame con un’era che non può essere risvegliato da un’altra arte.

Lungo il filo teso scorre empatia.

Guardato così ci crea piacere, ci attrae, è bello in altre parole.

Data: 22.06.2013

Autore: Marco Ermentini

Oggetto: ESTETICA COMICA?

Grazie a Anna Maramotti l’altra sera al Caffè Filosofico ho capito che in estetica fare sul serio vuol dire scherzare.

Le teorie estetiche, confrontate con la loro applicazione, molte volte mi hanno fatto scoppiare dal ridere. Una cosa ben strana per discipline e sistemi che si nutrono della serietà. Così spesso dove Hume e Kant, Croce e Gadamer mi abbandonavano, mi sono venuti in aiuto i fratelli Marx e Stalio e Olio, Benigni e Totò.

Serietà e comicità si uniscono anche nella interpretazione dell’opera d’arte. E’ più importante una sana risata che troppa serietà filologica ? Del resto la prova del nove di chi fa sul serio è che chi fa sul serio, sa di essere comico. Forse tra i commenti critici dell’estetica contemporanea deve essere annoverato anche il riso.

Dell’estetica bisognerebbe anche ridere in modo barocco e rotondo. Così facevano anche i più lucidi pensatori del passato.

Anche Aristotele nella Grande Etica (IA 30) sostiene l’importanza della facezia, che è una virtù. E’ il giusto mezzo fra la buffoneria e la rozzezza. L’uomo faceto lo è anche in due sensi: è infatti spiritoso sia chi sa motteggiare spiritosamente, sia chi sa accettare di essere motteggiato.

Una buona opera d’arte la si dovrebbe riconoscere anche dalle risate, non dalla quantità dei consensi.

Sarà forse proprio il riso uno dei metri di giudizio dell’estetica? In questo caso la storia delle teorie dell’arte andrebbe riscritta come storia del comico. Del resto anche il nostro filosofo nostrano Andrea Bortolon, come Bergson, ci dicono che il comico si rivolge all’intelligenza pura e che non esiste al di fuori di ciò che è propriamente umano.

Chi è l’uomo di spirito? Quali sono stati nel passato gli uomini di spirito? La lista è lunga: da Democrito a Seneca, da Luciano di Samosata a Montaigne, da Rabelais a Erasmo …

Il comico può smascherare molte cose anche nell’estetica. Quando si capisce che qualcosa di “meccanico”, di burattinesco si sovrappone, si incrosta su ciò che è vivo, spesso volentieri ci fa ridere. Così come Don Chisciotte che combatte i mulini perché vuole modellare le cose su un idea fissa che ha e non modella le idee sulle cose; ciò ci fa ridere.

Il voler applicare regole ferree e metodi preconfezionati in tutti i casi, in tutte le situazioni, ci fa venire in mente cosa dice il medico Diafoirus nel “Malato immaginario”: “E’ meglio morire secondo le regole che scamparla contro le regole”.

Erasmo consiglia l’ironia per trattare temi seriosi in modo che il lettore, a meno che non sia un perfetto babbeo, riesca a trarne più giovamento che dalle cupe riflessioni di certi illustri pensatori.

Passando infine al campo del restauro dell’ opera d’arte, penso che ironia e paradosso siano anche i principali strumenti del restauro “timido” inventato dal nostro filosofo Andrea Bortolon. Questa concezione si fa gioco dell’abbrutimento attuale, della seriosità che non è serietà.

L’uomo di spirito è cosciente della propria autonomia mentale e dei propri limiti e liberamente e spassionatamente osserva intorno a se il mondo sdivinizzandolo.

Certo, cara Anna, forse è tutto uno scherzo, forse l’estetica comica e il restauro timido sono solo giochi, ma a volte con l’ironia si può afferrare anche qualche frammento di verità.

Timidi saluti.





Marco Ermentini

Presidente Shy Architectural Association

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