IL CONCETTO DI IDENTITÀ E DI PERSONA - RELATORE: DON MAURO INZOLI

08.03.2004 21:00

 

Che cos’è che caratterizza una “persona”? Il quesito – uno degli interrogativi più inquietanti della bioetica - lacera le coscienze: anche le coscienze degli stessi legislatori. Sulla base di quale criterio l’embrione dovrebbe essere considerato una “persona” o dovrebbe essere trattato “come una persona”? Sulla base di quale norma morale non dovrebbe possibile alla donna rifiutare l’impianto di un embrione di cui si è diagnosticata una grave malformazione? È “persona” un bambino anencefalico? È ancora “persona” un uomo in stato vegetativo permanente? È ancora “persona” un uomo nella fase terminale dell’Alzheimer? Sono quesiti che possono mettere in crisi un codice morale millenario. Domande che possono far saltare una visione del mondo radicata: con quale criterio, ad esempio, si dovrebbe escludere dal concetto di “persona” la nota gorilla Koko, che è perfettamente consapevole della sua identità, che prova emozioni, che ha un quoziente di intelligenza che va da 85 a 95 ed includere esseri che hanno letteralmente distrutto il supporto cerebrale della coscienza, della memoria…?

Che cos’è, davvero, un uomo? È questa la “domanda” che il Caffè filosofico - che si è costituito a Crema nell’ottobre scorso - ha scelto come il Leit-motiv di quest’anno, il “problema” che intende provare ad esplorare. Ha senso ancora parlare di “anima” dopo i colpi che questa ha subito grazie alle neuroscienze e, prima ancora, a tanta parte della filosofia moderna? Non è forse anacronistico parlare ancora di “scintilla divina” che c’è nell’uomo quando gli studi di etologia ci dicono che anche scimpanzé e gorilla hanno la consapevolezza del proprio io? Che cos’è l’“io”? Qualcosa di “dato” o qualcosa che si forma? Se è qualcosa che nasce, come nasce? Come si forma la coscienza della nostra “identità”? Non siamo di fronte ad un prodotto dell’interazione tra singolo uomo ed altri uomini? Non è l’“io”figlio del “linguaggio”? E non è la “mente” stessa linguaggio? Se la mente si riduce a linguaggio, che natura ha il linguaggio? È qualcosa di fisico o no? Che rapporto c’è tra l’ “io” ed il cervello? Può l’io dare ordini al cervello, oppure a dare gli ordini è solo il cervello?

Che cos’è l’uomo? Come rispondere ad una domanda così impegnativa? Possiamo rispondere a tale domanda esclusivamente con i tradizionali strumenti della filosofia? Il Caffè filosofico ritiene di no. Per questo ha deciso di affrontare l’interrogativo cruciale con approcci diversi: biologico, antropologico, psicologico-psicoanalitico, sociologico, filosofico, religioso. Un cammino che ha già iniziato ad intraprendere. La prossima “tappa” si terrà l’8 marzo – sempre alle ore 21 presso il Caffè Gallery di via Mazzini - e avrà come tema: qual è la risposta del “sacro” al nostro radicale interrogativo? Ad introdurre la serata sarà don Mauro Inzoli. Il “momento artistico” (ormai una consuetudine negli incontri del Caffè filosofico), in occasione della festa della donna, sarà particolarmente significativo.

Si ricordi che il Caffè filosofico non è un club riservato, ma è aperto a chi – con o senza studi sistematici di filosofia alle spalle – vuole confrontarsi con altri intorno ai grandi “enigmi” che ancora circondano l’uomo, a chi non rinuncia – nonostante tutto – a mettersi in discussione ed a porsi domande radicali, a chi ha il “piacere di ragionare”. E ragionare dialogando.

Dibattito

Data: 28.06.2013

Autore: Francesco Torrisi

Oggetto: Riflessioni

Grazie Chiara per la luminosa...ricarica! All'amico Tiziano una giustapposizione; quando dici:

"..........Detto questo, appare evidente che la persona è appunto caratterizzata da entrambe queste due dimensioni conoscitive: anzi, credo proprio che l'identità di ciascuno sia la consapevolezza dell'incontro. Che è diverso nei contenuti da persona a persona, con questo ineliminabile rapporto fra ragione e fede........"

Come ignorare un'altra essenza della persona che troppo spesso la nostra cultura fatta di razionalità scarta o sottovaluta: l'intuizione! Proprio il raggiunto equilibrio e compatibilità tra razionalità ed intuizione consente alla persona di ...."danzare" il proprio percorso di vita, di interpretare in positivo il proprio personaggio, di imparare e di crescere inconsapevolezza, di volersi bene e voler bene a tutto ciò che a lui e solo a lui accade. E gli accade perché a lui e solo a lui serve per imparare, per crescere in consapevolezza!

E allora mi si insinua un dubbio: non è che la "fede" l'abbia "inventata" con "perfida intelligenza" la razionalità dell'uomo? Attribuendole "sacralità" per giustificare, bilanciare la propria postulata, "reale",preponderante "sacralità"!

Ok, per me basta così. Il tributo alla mia razionalità è abbondantemente

versato.

Cordialità, Francesco Torrisi, persona!

Data: 28.06.2013

Autore: Luca Lunardi

Oggetto: Ragione e Fede.

L’incontro con Don Mauro Inzoli è stato talmente denso ed intenso che mi sono sentito semi-paralizzato, sia per l’altezza dei temi affrontati che per la ricchezza degli spunti di discussione possibili. Quindi mi sono limitato ad ascoltare, cosa peraltro che mi è consona - più dell’intervento verbale in prima persona - ma soprattutto perchè avrei percepito una qualunque categoria “filosofica” come potenzialmente inadeguata.

In particolare, devo dissentire dal modo in cui Tiziano Guerini interpreta la Filosofia – da un passo tratto dal Suo ultimo intervento - punto di partenza per una modesta critica che tenterò di fare:

<< [...] è un’altra la riflessione che voglio fare: come la ragione filosofica ci pone di fronte alla dimensione dell’Assoluto, alla Totalità ed alle sue peculiarità ( ed alle logiche conseguenze che ne derivano e che la nostra cultura occidentale non ha ancora avuto il coraggio nemmeno di ipotizzare ), così la fede religiosa ci pone di fronte all’Infinito. E’ in questa corrispondenza che vedo margini di esplorazione notevoli, tali – credo – da far emergere valori di salvezza e di felicità semplicemente inimmaginabili dalla cultura del fare e dell’ avere. >>

Si tratterà di un mio fraintendimento – e sarò lieto di essere criticato a mia volta per questo – ma mi pare di intravedere, chiara, un’influenza di stampo hegeliano nel modo di definire la riflessione razionale – distinta, cioè, dall’esperienza religiosa – come comprensione dell’Assoluto e della Totalità (in opposizione presunta a particolarismi o spiegazioni parziali o settoriali).

Ebbene, debbo confessare la mia profonda avversione per l’hegelismo (ammettendo che di hegelismo si tratti nella definizione sovrastante), e le motivazioni trascenderebbero lo spazio ragionevolmente riservabile al mio intervento. Ciò che mi preme tuttavia sottolineare in questa sede, è che proprio le pretese di comprensione totalizzante della realtà, fino al punto da far coincidere il reale col razionale e l’essere col dover essere, unitamente alla follia (di sapore squisitamente hegeliano) di attenuare o negare il valore della singola persona per affogarla nelle maglie di entità considerate superiori (Stato in primis), mi pare esulare completamente da ciò che la Filosofia dovrebbe essere: ricerca indipendente da autorità, consapevole dei limiti gnoseologici umani, basata sull’eliminazione degli errori piuttosto che su conquiste positive incontrovertibili ed olistiche1.

Si sarà intuita la mia vicinanza ad empiristi (critici) come Popper, Kant, Russell (in Filosofia prendere posizione si deve, purchè a seguito di lunga riflessione non dogmatica). Io credo che il “Sapere Assoluto” di Hegel (e di tutti i pensatori affini) sia solo una mistificazione. Ciò che penso è che le categorie di Assoluto, Totalità, Infinito non possano e non debbano essere territori di indagine filosofica. Teologia e Fede possono occuparsene, proprio perchè fuori dalle nostre possibilità razionali. La storia ha peraltro dimostrato quali catastrofi si siano prodotte ispirandosi a sistemi (di matrice idealistico / romantica) totalizzanti ed omniesplicativi (i quali in realtà non spiegano nulla proprio perchè cercano di spiegare tutto).

1 Hegel ebbe modo di scrivere: “Per quelle domande a cui la Filosofia non sa rispondere, va detto che esse non vanno poste in quel modo.”. Quale professione di immodestia intellettuale!...

Data: 28.06.2013

Autore: Tiziano Guerini

Oggetto: Risposta a Lunardi

(il riferimento ad Hegel è esatto; ma anche Kant, con la Ragion Pratica, non scherza…)

a) Se si pensa che la ricerca filosofica, parlando di assoluto e di totalità, intenda contenere concretamente in sé, tutta la realtà conoscitiva dell’uomo – nel senso che non riconosca tutto ciò che invece l’uomo va, volta a volta, esplorando, indagando, credendo e negando, allora la mia nota, aggiungendo alla filosofia la fede (in tutte le sue accezioni) intendeva dire esattamente il contrario.

b) Se invece si riesce ad intuire che con la filosofia si esprimono (poche, ma decisive e universali) verità assolute (l’Idea di Hegel che è identica nello spirito e nelle cose), e che proprio per questo si può poi distinguere ciò che è (assolutamente) vero da ciò che è solo (ma in modo esistenzialmente importante) supposizione, allora sì, proprio questo la mia nota intendeva dire.

c) Più semplicemente. Mi pare che a te interessi giustamente sostenere la necessità di salvaguardare gli aspetti di ricerca, di faticosa e sempre precaria indagine dell’uomo sul mondo e su se stesso. Bene, interessa anche a me.

Però tale dimensione conoscitiva così propria dell’uomo e della sua volontà di migliorare continuamente la qualità della vita, si realizza ad una di queste condizioni: 1) Il sapere “contingente e precario” viene così definito da chi ha la convinzione che tale sapere non esaurisca tutta la realtà, ed ha quindi un punto di riferimento qualitativamente opposto, senza di cui non avrebbe senso parlare di “relativo” (si definisce “relativo”, infatti, ciò che si differenzia dall’assoluto); 2) Si sostiene che tutto il nostro sapere vive nella precarietà; ma allora proprio questa affermazione si costituisce come un valore assoluto; 3) Infine, si opina, senza voler tradurre tale opinione in una affermazione definitiva, per la precarietà di tutta realtà, ma così si lascia intatta l’autorevolezza di chi intende invece sostenere affermazioni assolute.

Grazie per aver alimentato il dibattito.

Data: 28.06.2013

Autore: Tiziano Guerini

Oggetto: Che cos’è che caratterizza una persona? La risposta del Sacro

L’incontro con don Mauro Inzoli dello scorso 8 marzo, mi dà l’occasione di una riflessione attorno al rapporto filosofia-fede. L’introduzione del relatore è stata appassionata, e il dibattito ha avuto punte di vera partecipazione, come del resto il tema esigeva.

Per parte mia, con qualche schematismo e senza emotività, voglio aggiungere qualche fredda considerazione.

E’ filosofia tutto ciò che viene affermato sulla base della ragione nella dimensione che le è peculiare della incontrovertibilità (sulla base del principio di non contraddizione) e quindi della assolutezza; è contenuto di fede tutto ciò che viene affermato fino a prova contraria, ovvero sulla base di convinzioni più o meno radicate - sicuramente non contraddittorie - ma nemmeno in grado di fondarsi incontrovertibilmente.

Detto questo, appare evidente che la persona è appunto caratterizzata da entrambe queste due dimensioni conoscitive: anzi, credo proprio che l’identità di ciascuno sia la consapevolezza dell’incontro. che è diverso nei contenuti da persona a persona, con questo ineliminabile rapporto fra ragione e fede.

La vita dà necessariamente spazio alla fede, in ogni momento in cui le nostre scelte non possono essere perfettamente razionali – per tanti motivi: perché non conosciamo tutte le varianti, perché ci sfuggono i possibili tanti comportamenti degli altri, perché la nostra reazione deve essere tempestiva , ecc.-

L’aspetto di fede considerato più utile, è dato dal bagaglio delle conoscenze scientifiche volta a volta accumulato dalla indagine dell’uomo e che viene creduto vero … appunto fino a prova contraria.

Ma grande importanza esistenziale hanno anche gli elementi di fede propri della realtà sentimentale ed affettiva: qui l’elemento di incertezza e di opinabilità è particolarmente evidente, eppure è certo questa la dimensione conoscitiva che più spinge all’azione e nella quale troviamo e sperimentiamo quei margini di incertezza che chiamiamo “libertà”- e sui quali manifestiamo la nostra assunzione di responsabilità.

All’interno della grande dimensione della fede, c’è, poi, appunto, la specificità della fede religiosa.

Non è qui il caso di analizzare le tante facce che la dimensione religiosa ha assunto storicamente.

Piuttosto è un’altra la riflessione che voglio fare: come la ragione filosofica ci pone di fronte alla dimensione dell’Assoluto, alla Totalità ed alle sue peculiarità ( ed alle logiche conseguenze che ne derivano e che la nostra cultura occidentale non ha ancora avuto il coraggio nemmeno di ipotizzare ), così la fede religiosa ci pone di fronte all’Infinito. E’ in questa corrispondenza che vedo margini di esplorazione notevoli, tali – credo – da far emergere valori di salvezza e di felicità semplicemente inimmaginabili dalla cultura del fare e dell’ avere.

Data: 28.06.2013

Autore: Patrizia de Capua

Oggetto: A proposito di PERSONA

L’intervento di don Mauro Inzoli al “Caffè filosofico” dell’8 marzo 2004 suscita in me alcuni interrogativi, primo fra tutti questo:

Il proprium dell’esperienza religiosa, afferma il relatore, è il valore infinito della singola persona. Ma la persona è segnata dal peccato originale, inteso come pretesa di autoaffermazione e dimenticanza dell’Essere. L’inquietudine dell’io, secondo le parole di S. Agostino, trova pace solo quando riconosce Dio.

Dunque il valore infinito della persona è affermato solo a condizione che la persona stessa riconosca Dio, e quindi che riconosca di non essere nulla.

Il paradosso non si può certo sciogliere con le regole della logica. D’altra parte, benché la fede sia ragionevole, non ci si può illudere di evitare quelli che Kierkegaard definisce i rischi della fede, ivi compresi l’assurdità, lo scandalo e il paradosso.

L’argomento è comunque intrigante. Non è forse privo di significato il fatto che nel momento in cui l’Io scopre la propria identità emergendo come unità del Sé “nella molteplicità di ciò che quell’unità nega” (secondo l’espressione di Horkheimer e Adorno in Dialettica dell’illuminismo), Odisseo si dichiari Nessuno. Non si tratta soltanto dell’astuzia fondata su un bisticcio verbale, per cui “Odisseo e Udeis hanno un suono simile, e si può benissimo pensare che in uno dei dialetti in cui si tramandava la storia del ritorno ad Itaca il nome del re dell’isola suonasse in tutto come nessuno”. C’è molto di più: come già notano gli autori di “Odisseo, o mito e illuminismo”, “il soggetto-Odisseo rinnega la propria identità che ne fa un soggetto, e rimane in vita assimilandosi all’amorfo. Egli dice di chiamarsi Nessuno perché Polifemo non è un Sé… la sua affermazione di sé è… come in ogni civiltà, negazione di sé”.

Dunque, la scoperta della persona è inscindibilmente legata alla scoperta della nullità della persona stessa. La personne scopre di non essere personne: nessuno, per l’appunto.

“Il per sé si descrive ontologicamente come mancanza di essere”, dice Sartre della coscienza. L’essere della persona umana consiste nel nulla d’essere. E questa è la sua effettiva libertà? Oppure è il disvelamento della verità più inquietante: l’io non è nessuno.

Se è vero, come osservava il relatore, che l’esperienza del dolore, in quanto attacco alla propria integrità, porta alla conoscenza dell’io, allora dal dolore nasce la consapevolezza di non essere nessuno, di non essere nulla.

Data: 28.06.2013

Autore: Chiara Crespiatico

Oggetto: R: A proposito di PERSONA

Mi ha colpito molto quello che è stato scritto da Patrizia de Capua nell’intervento riguardante la persona: ”sentirsi un niente di fronte all’infinità di Dio” , ma io credo che non si debba pensare alla persona da questo punto di vista così pessimista. Da cristiana penso alla persona come a qualcosa di unico e irripetibile, ma soprattutto mi sento persona e sono felice di esserlo in quanto figlia di Dio. Dio mi ha disegnato a sua immagine e somiglianza, conosce tutto di me, ogni particolare, perfino il numero dei miei capelli.

Approvo senza dubbi che di fronte all’infinità di Dio ci si debba sentire piccoli e umili, infatti la parola di Dio si rivolge ai più semplici e poveri (“ se farai del bene al più piccolo l’avrai fatto a me…”). Essere persona in senso pieno per me significa vivere il cammino di fede seguendo la volontà del Padre Eterno che è amore.

L’uomo è pienamente felice solo se accende e tiene vivo il motore della sua vita: l’amore. Un’anima che ama è un piccolo sole nel mondo che tramanda Dio. Un’anima che non ama vegeta ed è poco della chiesa, nulla di Maria, antitesi di Cristo. Il mondo ha bisogno di un’invasione d’amore. Solo amando il prossimo e donandomi agli altri come Dio vuole io mi sento una PERSONA.

Per ciò che riguarda il dolore mi viene in mente una bellissima frase di San Paolo: ”E’ quando sono debole che sono forte”.

Infine non posso non pensare a Gesù abbandonato in croce come segno di dolore immenso.

“La croce, è l’emblema del cristiano, che il mondo non vuole perché crede, fuggendola, di fuggire al dolore, e non sa che essa spalanca l’anima di chi l’ha capita sul regno della Luce e dell’ Amore: quell’amore che il mondo tanto cerca, ma non ha.”

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