IL FESTIVAL DELLA FILOSOFIA NELL’ESTATE DELLA BASSA BRESCIANA (“FILOSOFI LUNGO L’OGLIO”) - RELATORI: FRANCESCA NODARI, TONINO ZAIA

11.03.2013 21:00

Che senso e che importanza ha un festival della filosofia, lungo tutta una estate, a Brescia e nella Bassa bresciana? Quindici appuntamenti con filosofi importanti, in altrettanti paesi, sempre con molto pubblico.

Un filo rosso che, ogni anno, unisce tutte le “lectio” sotto un unico argomento (Vizi e Virtù, Destino, Corpo, Felicità, Dignità); e alla fine la pubblicazione di un volume che raccoglie tutti gli interventi. Informazione, crescita culturale e sociale, curiosità, desiderio di approfondimento, la sensazione che nella vita non c’è solo l’effimero o il peso del dovere? Cosa lascia dietro di sé questa esperienza culturale per tanti che di filosofia non hanno mai nemmeno sentito parlare? Un’esperienza organizzativa importante su una tematica difficile, che parrebbe impopolare e invece non lo è, che Francesca Nodari porta avanti da diversi anni con passione ed intelligenza.

La curiosità del giornalista e dell’uomo di cultura, quale è Tonino Zana, che segue da anni questa esperienza certo ne sa dare una precisa valutazione e trarre auspici perché possa continuare nel migliore dei modi e servire da esempio per altre comunità ed altri territori.

Dibattito

Data: 07.06.2013

Autore: Gabriele Ornaghi

Oggetto: Mater Philosophia

“Che cos’è la filosofia?” È una di quelle domande a cui è difficile rispondere. Forse anche gli stessi filosofi faticano a superare la “semplice” risposta: amore per la sapienza. Se uno apre un qualsiasi manuale per liceo e inizia a leggerlo da capo a fine certo non troverà una risposta chiara ed univoca, poiché diversi sono i volti che la filosofia può assumere (e ha assunto) lungo i secoli e a seconda dei diversi pensatori. Tuttavia chi come me ha partecipato alla serata del Caffè filosofico di lunedì 11, certamente è rimasto colpito dalla forma che la filosofia assume nell’esperienza di “Filosofi lungo l’Oglio”. A partire da quanto i due relatori ci hanno comunicato durante la serata, voglio cercare di delineare il volto della filosofia, senza entrare nel dettaglio delle singole argomentazioni che essa indaga.

“Ha vinto la filosofia femmina”, ha esordito così il giornalista Tonino Zana, parlando dell’esperienza bresciana e subito un sorriso è apparso sul mio volto. Il motivo è molto semplice: credo davvero che la filosofia sia femmina, poiché essa ha la capacità di sedurre coloro che, anche solo per un attimo, si pongono sul suo cammino. La filosofia non è però una seduttrice come lo erano le sirene di Ulisse, le quali sapevano incantare solamente, portando gli uomini lontano dalla loro vita (fino alla morte). La filosofia per sua natura seduce gli uomini conducendoli per mano lungo un cammino che dura sì l’intera esistenza umana, ma che al contempo li porta a scrutare e comprendere la vita stessa. La filosofia non è però quell’ancella (per usare la traduzione più raffinata) a cui tante volte nella storia si è voluto ridurla. Essa invece come una madre, come un’amica accompagna uomini e donne alla scoperta del mondo finito ed infinito. La filosofia è in grado di aiutarci perché sa parlare al cuore dell’uomo, sia quando è in grado di meravigliarci, sia quando ci rimprovera e ci ricorda la nostra natura umana (basti pensare ad Heidegger, Sartre, etc.).

La filosofia è inoltre, quella madre che con il dolore in mano, come fanno i filosofi lungo l'Oglio "nelle nebbie della storia e dell'inverno" (per parafrasare Tonino Zana), sa spiegare ai propri figli che cos'è la follia dell'uccidere, dell'imprigionare (come ha cercato di mostrare Boezio) e che cos'é la morte. Dalla nascita alla morte e oltre, la filosofia sa abbracciare tutta l’esistenza del mondo, dell’uomo, del finito come dell’infinito. Essa sa penetrare nel cuore dell’uomo al punto di indurlo ad interrogarsi sul significato di tutto (portandolo a volte a dubitare dell’esistere stesso, si pensi a Cartesio), per giungere in ultima istanza a quella luce che rischiara le tenebre (Platone, Agostino d’Ippona) che è la conoscenza/contemplazione della verità.

La filosofia è anche in grado di far diventare amici gli estranei (come già affermava Platone), di saper unire persone diverse, “popoli di fiumi diversi”, che posti su un cammino comune giungono ad essere gemelli. Gemelle sono le nostre esperienze, quelle del Caffè Filosofico e quella di Filosofi lungo l’Oglio, che nel cammino del pensiero possono incontrarsi per crescere e far crescere come la madre filosofia ci insegna.

La filosofia è infine vera maestra quando, come ci ha ricordato Francesca Nodari citando Lévinas, ci parla direttamente superando anche il mero testo scritto. Lo scritto è si importante ma nell'ascolto diretto, vero ed autentico, perché cercato, voluto, noi possiamo cogliere tutto ciò che di vero la filosofia può insegnarci. La stessa tradizione rabbinica ci ricorda che un vero ed autentico studio si ha solo quando lo studente studia in coppia, perché solo in due (o più) si può giungere alla verità. La speranza di giovane “filosofo” allora è quella di poter camminare per anni con le “gemelle”, così da poter insegnare a sua volta ad altri giovani che cos’è la filosofi, e che non è altro che la madre, l’amica che ci accompagna alla sapienziale verità.

Data: 07.06.2013

Autore: Patrizia de Capua

Oggetto: R: Mater Philosophia

Caro Gabriele,

la tua ricerca sul significato della filosofia invita a riflettere. Se dovessi dire verso quale propendo fra le definizioni provvisorie da te proposte, scarterei l’aspetto di genere, che – benché affascinante – mi pare limitativo, sia che la filosofia venga vista come sirena ammaliatrice, sia come maestra o madre. Ovviamente non ancilla, certo amica, a partire dal prototipo del boeziano De consolatione philosophiae, ma prima ancora, come tu ricordi con Platone, “in grado di far diventare amici gli estranei”.

Dunque scarterei il discorso di genere, per conservare l’aspetto universalmente umano che ci accomuna e, secondo alcuni, ci rende addirittura fratelli.

Se l’amico Tiziano Guerini me lo consente, al tuo contributo vorrei aggiungere un tassello che mi è parso interessante, e che proviene da una conferenza sull’“Identità dell’Occidente” tenuta a Pistoia da Emanuele Severino il 5 luglio dello scorso anno.

Severino rigetta come “orribile traduzione” la filosofia nata dalla “meraviglia”, e spiega che la parola greca θαũμα significa piuttosto “angosciato terrore per la vita”.

In effetti, come spesso accade in greco – ma anche in latino – la stessa parola può significare una cosa e il suo contrario (tipico l’esempio di farmaco, medicina e veleno). Così la cosa che desta meraviglia può contemporaneamente essere la cosa che desta terrore, come Polifemo, mostro smisurato chiamato appunto da Omero θαũμα πελώριον (per i latini monstrum mirabile visu). Ora, che cos’è che desta stupefatto terrore? La vita – continua Severino – come luogo del patimento, del dolore e della morte. La filosofia non è quindi la riflessione dell’intellettuale che se ne sta tranquillo nel suo studio o nel suo laboratorio culturale. Di più: la filosofia – nome molto più denso di quanto non sembri a prima vista – non è amore per la sapienza, ma (sempre a parere di Severino) è cura per ciò che è chiaro, dal momento che σαφής è appunto “chiaro, manifesto, evidente, vero, sicuro, certo”, nel senso dell’aver cara la verità.

Si intrecciano insomma in questa parola concetti che non hanno a che fare soltanto con la cultura, ma ancor prima e ancor più con le opere, le istituzioni, la concretezza della vita: gli uomini che hanno cercato nel mito un rimedio contro il dolore e un tentativo di vincere la morte, quando si rendono conto che il mito è un rimedio fallace, iniziano a dubitare del mito e, volendo salvarsi veramente dal terrore della vita, pensano alla verità, a una verità chiara e incontrovertibile. È come se si dicessero: posso vincere la morte solo se ciò che so di me e del mondo non è poesia, non è fantasia, ma è qualcosa che riesco a raggiungere in modo innegabile. E questa volontà di verità non è volontà astratta, ma è volontà di uscire dal patimento, in ultima analisi per sopportare la morte.

“I giovani – commenta Severino – sono in una situazione particolare, perché imparano a patire”. Forzando e piegando un poco il discorso, in riferimento al pensiero dell’antica Grecia, che cos’altro è la filosofia se non volontà di rendersi felici?

A motivo di questo aver cura di noi stessi, e voler imparare ad essere felici, la filosofia è fuori dal tempo. Come per il mitico Sisifo di Camus, così per noi ricominciare sempre di nuovo a cercare, pur nella consapevolezza della difficoltà o persino dell’assurdità della ricerca, non è vano: anzi, è impossibile sottrarci a quello sforzo, poiché la ricerca della felicità e del significato della vita è il significato stesso.

“Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”.

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