OLTRE L'ARCIPELAGO. RAGIONANDO SU MASSIMO CACCIARI - RELATORE: CLAUDIO CERAVOLO

14.02.2005 21:00

 

“Un pensatore lo si onora pensando” (E.Junger).

E’ così che vorrei rapportarmi con Massimo Cacciari : non “presentando” la sua opera – impresa pressoché impossibile, data la densità e la complicatezza dei suoi testi, restii ad ogni “riduzione” – ma raccontando come per quasi vent’anni io mi sia sentito coinvolto nelle sue domande, che spesso si sono intrecciate alle mie.

Quando mi è stato chiesto di parlare di Cacciari nell’ambito della ricerca che il Caffè filosofico fa quest’anno “oltre l’Occidente”, mi sono sentito sperduto : non ho una preparazione filosofica, e il mio rapporto personale con Massimo è stato vissuto sul piano politico, non su quello speculativo (anche se – come vedremo – in Cacciari la politica è “un' esperienza dolorosa del limite”, ma un’esperienza che bisogna fare, cercando di andare oltre la politica come mero calcolo tecnico- amministrativo)

Non aspettatevi quindi da me un inquadramento del pensiero di Cacciari all’interno delle maggiori correnti filosofiche del secolo: non sarei capace di farlo, e in fondo non credo neppure che mi interessi.

Proverò invece a collocare il pensiero di Cacciari nell’esperienza di chi ha vissuto in sé l’eredità del moderno e l’inquieta dialettica del suo superamento, partendo dall’idea di krisis in quanto emergenza permanente nell’esperienza dell’esistere e del pensare, senza aver nessuna salvezza acquisita in partenza.

Oggi tutti noi viviamo “l’universale assolutizzazione della mancanza di radice. Ciò che qui si invera è l’idealistica autonomia del soggetto – ma proprio come soggetto irreversibilmente sradicato” (M.C., Icone della Legge, p. 53)

La nostra esperienza è assimilata a quella dell’erranza, del nomadismo già proprio dei figli di Israele, ed è una esperienza che si oppone radicalmente all’esigenza di radicamento in un nomos, in una legge il cui senso si è oscurato o perduto.

Già questa riflessione sul nostro destino di erranti ci butta “oltre l’Occidente”, al di là di un Arcipelago (Geofilosofia dell’Europa, 1994 e L’Arcipelago, 1997 sono le due opere che più di ogni altra ci faranno da guida) oltre il quale però non troveremo solo l’apeiron, l’infinito, ma troveremo soprattutto l’Altro.

E l’Altro non ha solo la figura del xenos, dello straniero; egli è innanzi tutto l’hospes / hostis, il nemico, del quale bisogna riconoscere l’assoluta diversità. E con l’assolutamente Altro l’unica relazione possibile, come insegnava già Eraclito, è il polemos, il conflitto.

A meno che non si abbia il coraggio di operare un rovesciamento in termini filosofici, assumendo questa stessa alterità, questa stessa inconciliabilità, come il punto di partenza per affermare in modo ancora più consapevole la propria identità.

Su questi temi ci confronteremo, mettendo fin d’ora bene in chiaro che io non avrò nessuna intenzione di con-vincervi della bontà delle tesi sostenute da Massimo Cacciari, ma caso mai di farvi scorgere alcune ipo-tesi, nel senso forte di “star sotto”.

Bene attenti a stare al di qua della invalicabile soglia, dove è Custodia.

 

Dibattito

Data: 24.06.2013

Autore: Luca Fusar Poli

Oggetto: Meditazione

----“ Il limite del milite è l’ignoto”
U. Dossena Poeta contemporaneo Cremasco

Approfitto della neve per meditare.
Una volta si recitava: “Sotto la neve, pane”.
Oggi io recito : “Sotto la neve, il gioco, pane del pensiero”.

Ancora una volta sotto, ancora una volta sopra.
Il Giardino Zen.
Il giardino nasce in Cina durante l’impero bimillenario.
Gli architetti del verde costruivano immensi parchi per far piacere alla corte imperiale.
Al loro interno si realizzavano immensi laghi in cui erano possibili crociere, con porti accoglienti e colmi di meraviglie.
La tradizione fu importata in Giappone che li trasformo in luoghi per la meditazione.
Oggi il Giardino Zen è molto diverso da quello dell’antichità.
Esso ha perso i fronzoli dell’arte botanica e si è riassunto in un luogo deputato alla contemplazione.
Lo specchio d’acqua è stato sostituito da ghiaia finissima che rastrellata ricorda le increspature di quando il vento soffia. La tartaruga è un masso su cui cresce lento il muschio, vele di lino bianco si agitano leggere, come ali di uccelli in volo.
Tutto è immobile. La natura non è il fine, ma diviene la rappresentazione di se stessa per attivare nell’animo del contemplatore un senso di piacere, un senso di eternità che promuove percorsi verso l’assoluto, l’eternità. Nel giardino Zen si prega senza recitare il linguaggio, si affronta l’infinito, privi
Di sapere, visto come civilizzazione culturale, la contemplazione porta l’uomo a dissociare la sua esperienza terrena per confrontarsi con il tutto senza essere più se stesso.

L’uomo occidentale affronta questi temi con l’aiuto della fede, la religione è il suo giardino, ma non può non essere attratto da quel linguaggio senza accenti che recita la natura che lo accoglie.
Ecco allora il Golf: che cosa è un campo da golf se non un Giardino Zen, solo un cieco non ne coglie
la similitudine!
Tutti i giorni per sempre i green sono tagliati a 6 mm, il collar a10 mm, il fairway a 17mm, il rough a 27 mm, tutti i giorni il medesimo scenario, tutti i giorni un senso d’immobilità che fa da perno su cui centrifugano le ansie del nostro quotidiano vivere.
Chi ci gioca non lo individua come luogo deputato alla riflessione, c’è Dio in occidente per questo, ma sia qui che in oriente gli uomini avvertono il richiamo che “l’ambito del luogo” esercita sul nostro animo, quando questo ambito diviene ambito del tutto.

Hai visto come sono ridotto, Tiziano, pur di rendere interessante il Golf ?

Proprio Cacciari in Televisione recentemente ha spiegato molto bene, ritengo, la presenza del male
dal momento in cui Dio, cioè durante la creazione, è voluto divenire il tutto.
C’è un proverbio arabo che suona un po’ così: ‘l’errore è un grande maestro esso insegna che un percorso provocherà disagio, l’errore cioè come valore positivo, mentre invece l’errore ripetuto ci vuole insegnare qualcosa che non vogliamo apprendere.

Certamente è positivo che il pensatore e l’industriale si incontrino e ciascuno dica la sua, niente di ridicolo in questo.

Trovo Comico che l’industriale abbia facoltà di licenziare una espressione tutto sommato filosofica di una rappresentazione del sapere, quando è negata a chi rappresenta l’espressione filosofica.
Hai ragione tu sarebbe stato ridicolo se Severino avesse licenziato l’amministratore delegato di Telecom. Per poi forse scoprire che c’era del pensato nella decisione di chi non perde mai l’abitudine a pensare bene.
Devo dire che mi hai letto bene, La filosofia è intollerante! Senza essere un filosofo sono intollerante alla tolleranza dell’intollerante tollerante.

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